giovedì 26 novembre 2009

Un libro un film - L'amore molesto di Elena Ferrante




È il corpo di Delia, adulta e bambina, che parla nel bel romanzo di Elena Ferrante, L'amore molesto. Un corpo scosso dalla morte misteriosa della madre che nel ricordo a tratti si sovrappone alla figura di lei, ora con rabbia e fastidio, ora con la volontà di riscattarne l'immagine più vera, per farla vivere anche dopo che il suo corpo è stato ritrovato in mare, con addosso solo un costoso reggiseno di pizzo.

La madre, Amalia, era bruna e bellissima, i capelli le luccicavano “come la pelle di una pantera”, curiosa, pacatamente divertita, motivo di attenzioni scurrili da parte degli uomini del quartiere e per queste sue “colpe” colpita con violenza dal marito ad ogni accesso di gelosia. Anche Delia nei suoi confusi sentimenti di bambina la vive come fonte di irrequietezza e di pericolo a causa della violenza che il suo stesso esistere procura, tanto che, confondendo realtà e fantasia, in una mistura di ingenua sensualità infantile, si inventa e confessa peccati inesistenti della madre con l'amico di famiglia, Nicola Polledro, detto il Caserta...“che non se la voleva togliere dalla testa”.

Sarà il Caserta (“puro agglomerato di trepidazioni infantili”) ormai vecchio, ancora seduttivo, elegante, dai capelli bianchissimi e curati, che giocherà con Amalia un gioco tardivo fatto di vanità e feticismo e che, per poco tempo e pericolosamente, restituirà alla donna il suo corpo negato.

I quartieri poveri di Napoli che fanno da sfondo alla storia, grondano come i protagonisti di una fisicità inquieta fatta di erotismo aggressivo, di palazzi fatiscenti, di invalidità del corpo esibite in cambio di favori, di segreti o di verità gridate.

Quanto racconta il corpo a saperlo ascoltare? Quanto la sua materia di carne e sangue (lacrime, vomito, olfatto) si fa invadente e si trasforma in visione, memoria, fantasma? E infine cosa può trovare seguendo le orme lasciate da un altro corpo, quello materno? Si potrebbe dire un libro sul segreto, o sulla colpa, sul rapporto complicato e ambivalente tra madre e figlia, o ancora una storia sull'identità che viene al mondo, trova spazio e ossigeno solo dopo una degna sepoltura della madre, non “nella vasca di pietra grigia colmata di terra”, ma nella terra interiore e feconda delle proprie figlie. Non a caso l'incipit del libro ci dice “Mia madre annego' la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno...”.

Elena Bellei, conduttrice del Gruppo di Lettura della Biblioteca Delfini


venerdì 20 novembre 2009

Un libro un film - Revolutionary Road. Visione del film


12 novembre 2009 alle 17.30.
Siamo in sei e in questo piccolo e raccolto gruppo vediamo il film.
Le considerazioni sul rapporto tra testo scritto e filmico sono piuttosto concordi. Nel libro i personaggi sono biechi, velleitari, personaggi veri e propri, con tutte le contraddizioni e insicurezze delle persone vere; nel film alcuni tratti sono smussati, April e Frank sono modelli meno negativi, quasi giustificabili in certe loro scelte.
April, che pure ha la colpa di aver sovrastimato le doti del marito nella fase iniziale del loro rapporto, successivamente sembra mortificarlo, per rivalutarne il talento solo durante la colazione prima della sua morte. Dal canto suo, Frank mitiga il suo egoismo con un affetto posticcio e la sua decisione di non partire per Parigi è più una resa, che una presa di coscienza della realtà. Forse nel film guadagna in umanità, perdendo parte di quella falsità che lo contraddistingue nel libro.
Nel film la sete di evasione di April è giustificata non solo dal desiderio di cambiare città, ma dalla necessità di riempire il vuoto della sua vita con un lavoro, con la legittimazione della sua esistenza oltre gli attributi di madre e moglie.
John è forse l'unico eroe positivo: anche nel film ha un ruolo fondamentale per l'evoluzione di una storia altrimenti bloccata e, come nel libro, è l'unica voce di verità in un mondo fatto di ipocrisia.
Sicuramente il film sconta l'impossibilità di dare conto dei retroscena familiari dei Wheeler, bloccando la narrazione in un determinato momento storico, privo dei rimandi alle rispettive famiglie dei protagonisti, fondamentali per una approfondita comprensione dei loro comportamenti.

martedì 17 novembre 2009

Un libro un film - Primo incontro del GdL. Revolutionary Road


Giovedì 29 ottobre, per la prima volta, si riunisce il Gdl della Biblioteca Delfini.
Dopo thé, pasticcini e presentazioni di rito, il GdL - tutto al femminile – entra nel vivo dell'incontro: Revolutionary Road, il libro di Richard Yates, la cui trasposizione cinematografica è piuttosto recente.

Breve resoconto della discussione
Il primo stimolo proposto da Elena Bellei è rintracciare il tema dominante del libro e le risposte sono le più varie: storia di illusione e delusione; storia d'amore; di sogno e inganno; di coppia; dei ruoli sociali, intesi come gabbie da cui è impossibile scappare; storia di una partenza sbagliata; commedia umana ambientata negli anni Cinquanta.

Di certo, tutte le partecipanti hanno le idee piuttosto chiare: alla maggioranza il libro piace molto, pur escludendo ogni immedesimazione coi personaggi, ma anzi allontanandosi dalle loro istanze; per poche, invece, il giudizio è piuttosto duro, fino a considerare il libro deludente e di un realismo fine a se stesso.

Parliamo dei personaggi: 'foresta pietrificata', figure 'poco strutturate', incapaci di muoversi in un mondo borghese sempre uguale a se stesso ma che, paradossalmente, vivono in una strada chiamata 'Revolutionary road'. Il loro immobilismo è forse una delle chiavi di lettura del romanzo, in cui i ruoli sociali fissi, come quello di madre e moglie per April, impediscono ogni possibile fuoriuscita o cambiamento di prospettiva. Personaggi irrisolti, con poca interiorità, che non si conoscono nel profondo e privi degli strumenti - razionali, ma soprattutto emotivi - per uscire dal loro mondo-gabbia. Sono prigionieri della loro storia familiare: April per esempio non è stata amata e non può amare. Eppure proprio lei, che non è in grado di prendersi cura di nulla e nessuno, nemmeno delle piante del giardino, è però in grado di smuovere le energie altrui, come quando informa i vicini della partenza per Parigi.

Il vuoto sembra essere uno dei protagonisti del romanzo. Se non si agisce, nell'ambiente e sull'ambiente, si è condannati a soccombere: il cambiamento - sottolineano alcune partecipanti -, non può avvenire cambiando luogo e scenografia, ma solo cambiando se stessi. April, arrivando a scoprire la sua solitudine, diviene un personaggio tragico, una femminista fallita e sola, senza veri legami, senza un gruppo, sperduta in un mondo che ad alcune ricorda i quadri di Hopper. Frank è invece l'apoteosi della falsità: è un uomo costruito, nella camminata, nello sguardo, nell'approccio alla gente.

Tra i personaggi - talora odiosi, talora di una fragilità spiazzante -, conveniamo sul ruolo fondamentale di John, il matto, il diverso, eppure così lucido e caustico nell'analisi della vita dei Wheeler in particolare e della situazione umana in generale. Sembra essere una figura chiave, portatrice di verità e primo motore della scelta, in fin dei conti suicida, di April. John, forse il solo ad essere in ascolto della sua interiorità, è matto ma lucido, mentre April e Frank, socialmente ritenuti 'sani', cercano di stordirsi e perdersi nell'alcool.

Le gabbie dei ruoli sociali tornano anche nei momenti che dovrebbero essere più liberi da stereotipi comportamentali, come gli incontri con gli amici, immancabilmente innaffiati di Martini. Anche le case, spesso descritte nel romanzo, sono intese come status symbol, come gusci protettivi, ma allo stesso tempo come gabbie.

Ci chiediamo, poi, se la storia rappresentata appartenga ad un'epoca precisa o sia piuttosto senza tempo e senza luogo. Per alcune la storia è tipicamente americana e figlia di un ben determinato periodo storico. Per altre la vicenda, ancora così attuale dopo 40 anni dalla pubblicazione del romanzo, sembra invece 'universale' ed emblematica del fallimento del modello tradizionale di matrimonio e di famiglia.

Anche i nomi dei protagonisti offrono un felice spunto di lettura: April è una coscienza tormentata, proprio come il mese di Aprile; Milly, la vicina di casa, è 'molliccia', 'smidollata'; in contrasto alla sua natura fittizia, Frank è 'franco', 'trasparente'.

Alcune fanno degli accostamenti con altre opere ed altri autori: si è notato come Yates si sia ispirato a Flaubert, e April sia una trasposizione di Madame Bovary. Anche T.S. Eliot viene chiamato in causa, come possibile autore di contatto con Yates.

venerdì 13 novembre 2009

Un libro un film - Revolutionary Road di Richard Yates


Una domanda che affiora, dopo aver lasciato decantare i sentimenti contrastanti per Frank e April Wheeler, protagonisti di Revolutionary Road, trentenni americani in pieni anni ‘50, genitori distratti di Jennifer e Michael, è questa: quando il sogno che spinge con alterna insistenza sulla coscienza inquieta dei protagonisti (l’Europa, la vita altrove, una esistenza più vicina alla propria autentica natura) debba infine considerarsi “fuori portata”? Che cosa lo trascina fuori dalla soglia del possibile? Chi non ha sufficiente forza morale per crescere un sogno come si cresce un figlio? E quanto quello stesso sogno, tramutato in illusione, si rende complice di quell’esistenza asfittica che tenta di sfuggire, o nel peggiore dei casi, fonte di dolore e di tragedia?
Il quotidiano piccolo borghese si mette in scena in una casetta bianca con giardino nel complesso residenziale di Revolutionary Hill. Frank ha un impiego, (poco amato) alla Knox, una azienda produttrice di calcolatori, dove prima di lui aveva lavorato il padre. April resta a casa con i figli. Sperimenta per poco un tentativo di carriera teatrale che risulta fallimentare. I vicini sono invasivi, gli amici (Shep e Milly Campbell), con i quali i due giovani condividono serate esageratamente alcoliche, oscillano tra solidarietà affettuosa, ammirazione e gelosia. Shep ama April segretamente.
Sulla vita della coppia, che pure potrebbe apparire senza ombre a uno sguardo estraneo, aleggia uno scontento greve, alimentato da parole mal dette e violenze reciproche. Una infelicità che nasce lontano (i riferimenti all’infanzia di April ce lo confermano, come la decisione di Frank di mandare la moglie dallo “strizzacervelli”) e mai compensata da una esistenza vissuta come dimezzata, così diversa da quella sognata.
Pare che tutto ruoti attorno al vuoto, al mancante, tanto che anche i piccoli risultano inconsistenti ombre di passaggio, e solo lo strampalato John, in visita in casa Wheeler nei pomeriggi di libera uscita dal manicomio, ne coglie le tragiche contraddizioni.
Ma se per Frank quella infelicità non si rivela mai come vero e proprio male di vivere, (sarà presto placata da una promessa di carriera e da una banale storia extraconiugale), per April è disperata energia, da prima convogliata in progetto (anche i giocattoli dei bambini sono già in valigia), e in seguito svilita e dispersa come in una rapida e fatale emorragia.
Richard Ford nella prefazione del libro ci offre una chiave di lettura consolatoria e claustrofobica al tempo stesso, e dice “l’autore guarda verso di noi con sguardo ammonitore, ci invita a vivere la vita come se avesse importanza tutto ciò che facciamo…” perché, attenzione, non farlo potrebbe mettere tutto in pericolo. Ma sarebbe troppo semplice pensare che ad April e Frank basterebbe guardare ciò che hanno per vincere il “vuoto disperato” che incombe sulla villetta bianca. Due destini senza via d’uscita sono già scritti nelle loro storie. Quello senza coraggio di Frank che si inganna due volte, riparandosi dietro le convenzioni sociali, senza troppa coscienza, e quello di April che porta fino alle estreme conseguenze la sua “rivoluzione”.

Elena Bellei, conduttrice del gruppo di lettura della Biblioteca Delfini