sabato 15 maggio 2010

Spifferi d'autore

Da dove viene questo vento? Da un libro. Da un libro che abbiamo dimenticato aperto. I libri vanno richiusi una volta letti e risistemati sugli scaffali. Eppure quel venticello si continua a sentire. Fa il solletico alle orecchie, rinfresca la mente, spinge, spettina, consola. E cosa mai potevamo aspettarci? che si lasciasse rinchiudere?
Il vento gonfia le guance come nei disegni dei bimbi. E soffia. Respira. È l'anima volatile dell'autore che scivola fuori dalla lettura solitaria, rimbalza sui comodini vicino ai letti, nelle borse delle signore, sui cruscotti delle automobili, attraversa lo schermo e le pagine virtuali, disegna un cerchio nel gruppo di lettura collettiva, e poi ci segue fino a casa e fino al mare, domani e anche dopodomani.
Qualcosa ci unisce indissolubilmente, cari amici del gruppo di lettura, cari lettori della comunità della parola scritta, detta e interrogata. Per un po' abbiamo respirato la stessa aria, in mezzo a tanta nebbia. L'aria gelida e incosciente di Chris McCandless (Nelle terre estreme), l'aria delusa e mortifera di April e Frank (Revolutionary road), quella pia e golosa della comunità luterana di Berlevaag (Il pranzo di Babette), l’aria cupa e insostenibile del passato di Michael Berg (A voce alta), quella luttuosa di Delia (L’amore molesto), l’atmosfera estetica e sgretolata come rovine antiche di Isabel Archer (Ritratto di signora) quella ribelle di Guy Montag e degli uomini-libro (Fahrenheit 451).
Abbiamo parteggiato, giudicato, compreso, punito, perdonato, tanto che presi da autentico patos tra considerazioni socio-storiche, linguistico-stilistiche, psico-filosofiche, di tanto in tanto ci scappava un “io questo qui (il protagonista) proprio non lo sopporto!” o un “diciamo la verità lei (la protagonista) è una vera stronza”. Insomma ci siamo presi la libertà che si può prendere una zia, per il bene dei nipoti.
In definitiva abbiamo coricato l’autore/autrice sul lettino e l’abbiamo esaminato/a bene, come uno scrutatore d’anime, senza discrezione. Perché ci dice questo? Perché fa finire la storia in questo modo? Perché tiene per lui e non per lei? Quale transfert, quale trauma infantile, quale rapporto con la madre, quale nevrosi creativa?
In cerchio, come dottori in sala d’autopsia, a guardare dentro a un libro. Una lettura soggettiva e insieme oggettiva, come si sarebbe detto in un collettivo femminista degli anni 70. Senza dimenticare nemmeno un “approccio di genere”, agevolato dal fatto che il gruppo conta anche UNA presenza maschile. “È un libro più apprezzato dagli uomini o dalle donne? Se lei fosse stata un lui, o se lui fosse stata una lei come sarebbero andare le cose?”.
Qualcuno a dir la verità spingeva anche per una interpretazione astrologica, come dire: “Non dimentichiamo che l’autore è nato il 20 febbraio alle 15 e15, dunque la storia non poteva certo finire in altro modo, essendo lui del segno dei pesci con ascendente toro”.
Qualcosa si muove più in fretta dentro a un gruppo di lettura. Quell’arietta, quella frescura, quel refolo, si inala tutti insieme come in un rituale terapeutico. Quel venticello si diffonde con leggerezza e con piacere, contaminando in maniera omeopatica anche altre comunità di lettori.
E fa bene alla salute. È un antidoto alla crisi, al malgoverno e ai cattivi pensieri. In definitiva è la nostra resistenza.
Arrivederci a settembre per ricominciare da capo!

(Elena Bellei, conduttrice del Gruppo di lettura della Biblioteca Delfini)
Immagine di Balthus (1908-2001), Katia lisant

martedì 4 maggio 2010

Un libro un film. Settimo incontro del GdL (29 aprile 2010) - A voce alta




Figlio di un pastore protestante, appartenente ad una famiglia numerosa, Bernhard Schlink studia Diritto per imposizione paterna, fino a diventare giudice alla Corte Costituzionale. Uomo eclettico – viaggia attraverso l'Europa in autostop, vende bijoux ai mercatini, si interessa di chinesiterapia – si impegna con passione nel dibattito politico contemporaneo, confrontandosi su temi etici e morali, forte dell'idea, inculcatagli dal padre, che il Diritto sia l'unica disciplina in grado di aiutare fattivamente l'essere umano.


A voce alta è l'esempio di questa sua passione per le questioni etiche. Con un linguaggio piatto, non ricercato, tutt'altro che lirico, affronta temi difficili in cui il Diritto viene a collidere con tematiche umane, troppo umane, che dividono le opinioni e lasciano più dubbi che certezze. Al contrario, la protagonista del libro è una donna che, per nascondere una lacuna comunque perdonabile – il suo analfabetismo –, compie (supposti) atti terribili con la nonchalance di chi vive la quotidianità senza porsi troppe domande.


Il tema principe può essere identificato in un senso di colpa costante, che informa tutto il libro: il complesso di colpa irrisolto di Michael Berg che decide di costringere Hanna in una nicchia, di non riservarle un posto nella sua vita reale, travolto da una foga adolescenziale più votata all'amicizia con i coetanei e allo studio, che ad un amore clandestino; ma anche il senso di colpa di Hanna per il suo analfabetismo, che per la religione protestante è un'onta, così come per il Nazismo e la sua aspirazione alla perfezione. La colpa di Michael è anche quella di avere amato Hanna a tal punto da non essere più riuscito a stabilire un rapporto d'amore vero; la colpa di aver continuato ad amare chi ha commesso atrocità, colpa che si lega indissolubilmente con un altro sentimento imperante nel libro: la vergogna.


Michael, non solo si vergogna di Hanna, ma appartiene anche alla generazione dei figli di chi ha lasciato dilagare il Nazismo. A differenza dei propri coetanei, però, che non hanno colpa delle scelte di genitori conniventi o addirittura carnefici, Michael sente tutta la responsabilità di avere scelto Hanna. Per non soccombere al senso di colpa, deve rinunciare ad amarla.


Hanna è una strana creatura in bilico tra la carnalità animale, la fisicità estrema, una sensualità quasi oscura e una passione per la lettura altrettanto marcata. Parallelamente, il libro è un'esibizione di corpi: il corpo malato di Michael che vomita, il sesso a tutte le ore di corpi mai sazi, il rito del bagno e del prendersi cura del corpo, i corpi delle prigioniere che bruciano nella chiesa, infine il corpo appeso nel carcere. Eppure il libro è un inno alla non-corporeità della lettura, quella evanescente a voce alta, ma anche quella potenziale, ammirata nella librieria del padre di Michael.


Hanna non è una sciocca, ma la vittima di una vergogna imperante. Risulta difficile pure definirla nazista: sembra essersi ritrovata in certe circostanze per banali coincidenze e, in ogni caso, per non lasciar traperlare il suo segreto. Quando Hanna, al processo, per ben due volte, chiede al giudice cosa avrebbe fatto al suo posto – e lo chiede senza ironia, ma con vero interesse – anche il lettore più intransigente percepisce il relativismo di questa storia, peraltro reso ancora più forte dai tanti non-detti sul passato della protagonista. La stessa colpevolezza di Hanna è messa in dubbio e mai chiarita.


Negli Stati Uniti il libro è stato aspramente criticato, in quanto Hanna, simbolo del Nazismo, diventa quasi una vittima, per la quale è anche possibile provare simpatia. Il libro pone l'accento sull'ignoranza, primo motore degli atti di Hanna, la cui infamia è avere, in fin dei conti, fatto il proprio 'dovere' di guardiana: il male commesso con la stessa facilità con cui si timbra il cartellino. Fondamentalmente Hanna è nazista perchè ignorante tanto che, non appena, grazie alla lettura, riesce finalmente a comprendere i suoi crimini, non può più vivere nel mondo e si suicida. La spiegazione della nascita del Nazismo, secondo alcuni, è stata quindi banalizzata e ridotta unicamente all'ignoranza delle persone.


A proposito di banalizzazione del male, va notato il parallelo tra la trama di A voce alta e la vicenda di Hannah Arendt che, da studentessa, ebbe un'appassionata storia d'amore con il suo professore Martin Heidegger, scoprendone solo in seguito le simpatie naziste e prendendone, ma non del tutto, le distanze.


Altro tema significativo del libro è il torpore, l'oblio del mondo per continuare a vivere, lo stesso che ha permesso ai prigionieri nei campi di concentramento, di non crollare di fronte all'orrore e sopravvivere. Un effetto anestetizzante, dunque, che però non può essere perdonato in chi ha visto e taciuto. Il libro, infatti, sembra non puntare tanto il dito contro gli artefici della tragedia, quanto verso i complici, chi ha accettato senza opporsi, divenendo in modo subdolo e vigliacco connivente dell'efferatezza dei criminali, come i paesani che, alla stregua delle guardiane, non hanno aperto le porte della chiesa.


Se fossi nelle condizioni di non poter leggere autonomamente, quale libro vorresti poter ascoltare da una voce amica, a voce alta?