venerdì 27 aprile 2012

Il salotto del martedì - 14 aprile 2012 - La lingua perduta delle gru

David Leavitt, La lingua perduta delle gru, Mondadori
Un romanzo così intenso e realistico non può non aver suscitato qualche reazione negativa, a causa soprattutto del verismo di alcuni dettagli di natura sessuale. Non tutti, però, hanno giudicato eccessiva o gratuita l'insistenza su certi particolari: non è sfuggita la sofferenza autentica che percorre queste vite, disgregate da una rivelazione per tanti versi inevitabile e attesa. Ma quanta ipocrisia, quanto inganno ed autoinganno, prima di fare i conti con la verità.
Come ha potuto Rose nascondere a se stessa per tanti anni il vuoto della vita che andava spalmando di menzogna e di silenzio, con la stessa cura con cui copriva di lucida glassa le sue torte? Eppure ha chiuso gli occhi, perché poi dove sta scritto che dire la verità semplifichi le cose? Come dice al marito: “Per me la cosa vera sei sempre stato tu”.
Invece il figlio Philip, che appartiene ad una generazione diversa, ha trovato il coraggio di parlare; così pure il marito, anche se straziato dal senso di colpa, non può fare a meno di vivere fino in fondo le sue tendenze omosessuali.
Il vero argomento del libro non sembra essere, comunque, tanto l'omosessualità, quanto la comunicazione tra esseri umani chiusi in quell'entità misteriosa chiamata “famiglia”: un romanzo sulle parole e su come le parole si organizzano in una lingua che non sempre è quella convenzionale, che tutti capiscono. Forse Leavitt vuole dirci che occorre trovare “le parole per dirlo”; poi è lo stesso se le rivolgi a una donna, o a un uomo, o a una gru.
Matilde Morotti

sabato 21 aprile 2012

Uomo e donna li creò - 14 aprile 2012 - Itaca per sempre

Che cosa si prova ad essere un greco dell'età omerica? Per quanto una risposta esaustiva a questa domanda non potrà mai essere fornita, Luigi Malerba ci avvicina a una tale prospettiva attraverso un intimo e dettagliato resoconto psicologico dei sentimenti e delle emozioni provati da Penelope e Ulisse nel corso dei noti fatti narrati nell'Odissea.

Lo sguardo introspettivo di Malerba ci presenta una versione attualizzata dei personaggi principali, che ora appaiono super ciali e stilizzati nei versi originali di Omero. Penelope non è così passiva e ingenua come ce la ricordavamo, ma piuttosto dimostra profonde e complete capacità di analisi, che le consentono di gestire la situazione di Itaca sia in assenza che (soprattutto) in presenza del marito; Ulisse è invece più simile a un "normale" uomo in carriera che ad un eroe, innamorato dei propri successi personali, spesso dimentico della famiglia lontana, e costantemente in cerca di svaghi per combattere un'onnipresente pressione sociale.

Se Itaca è per sempre, anche i sentimenti sono per sempre? In altre parole, Penelope e Ulisse rappresentano dei caratteri universali alle prese con questioni eterne come l'amore, l'autorealizzazione, il destino e la morte, o costituiscono invece un tentativo forzato di estendere e generalizzare la nostra prospettiva particolare? Sebbene una controprova diretta (il pensiero degli interessati) non potrà mai essere disponibile, bisogna tenere presente che l'opera di Malerba rientra nel campo della letteratura, e in quanto tale svolge a pieno merito il proprio ruolo.

sabato 7 aprile 2012

Il salotto del martedì - verso "La lingua perduta delle gru" di David Leavitt

“I miei genitori sono gente aperta”. Con la stessa fiducia con cui la protagonista di “Indovina chi viene a cena” presentava ai suoi il fidanzato nero, così Philip, nel romanzo di David Leavitt La lingua perduta delle gru (Mondadori, 1987, p.332) progetta di rivelare ai genitori la verità sul suo rapporto con Eliot, l'uomo di cui è innamorato. Perché Philip è gay, e questo è un romanzo d'amore. Nonostante i dettagli crudissimi, l'amore omosessuale in questo libro è romantico, appassionato, delicato come nei romanzi per signorine di una volta. “Sono tuo”, dice Philip all'amante (che poi in realtà è uno spietato egoista, ma questo succede anche nelle coppie eterosessuali).

Dunque il tenero, fiducioso, innamorato Philip si appresta a fare “coming out”, rivelando la sua omosessualità ai genitori. Ma è davvero credibile, negli anni '80 in cui il libro è collocato, che tutto fili liscio, senza suscitare terremoti? La rivelazione, in realtà, apre una dolorosa frattura tra figlio e madre e mette improvvisamente il padre di fronte a se stesso, costringendolo, a sua volta, ad uscire dall'oscuro carcere che è stato, per tanti anni, la sua vita.

Perché i genitori non sono per niente quella coppia intellettualmente aperta, unita, “normale” che mettono in scena da sempre. Se è vero che questo è un romanzo d'amore, e d'amore “regolare” anche tra gay (non a caso viene usato, a proposito del rapporto consolidato, il verbo “accasarsi”), bisogna ammettere che del matrimonio convenzionale tra uomo e donna vengono messi in luce i lati più oscuri ed insidiosi. Che tristezza questi due che leggono in silenzio, l'uno di fronte all'altra, e sembra una scena armoniosa e invece è una solitudine a due; tant'è che la domenica la passano ognuno per conto suo, per anni ed anni, e solo per caso una volta s'incontrano passeggiando sotto la pioggia nella città ostile ed immediatamente si separano, ognuno perso dentro il suo viaggio insensato, senza avere il coraggio di porsi la domanda fondamentale: “Che cosa siamo l'uno per l'altra, che cosa abbiamo fatto della nostra vita?”.

E allora il cambiamento introdotto dalla rivelazione del figlio si rivela l'unico modo per ritrovare una verità, un'autenticità fin qui negata : “Le corde del cuore desideravano essere toccate ad ogni costo, l'anima si stancava della serenità, il corpo moriva dalla voglia di qualsiasi tipo di cambiamento, fosse anche lo sterminio, fosse anche la morte”(p. 57).

Un cambiamento, ma anche un riconoscimento: si riconosce qualcuno, o qualcosa, e lo si ama. Non è detto che l'oggetto d'amore debba essere lo stesso per tutti: per alcuni uomini l'amore deve essere necessariamente rivolto alle donne, per altri no. Ciò non vuol dire che l'amore omosessuale sia meno valido, o autentico; anzi, in certi casi è l'unico modo per essere veramente se stessi..

Questo sembra essere il significato delle pagine che spezzano a metà la storia della famiglia di Philip e spiegano il misterioso titolo del romanzo. L'autore ricorda un caso clinico: la storia del bambino che, abbandonato da una madre inadeguata, viene elaborando un suo linguaggio personale grazie all'imitazione delle uniche cose con cui ha un rapporto di familiarità, cioè le gru di un cantiere che vede dalla finestra. Per quel bambino, le gru costituivano un vero, anche se improbabile, oggetto d'amore: da esse egli imparava, in esse egli si riconosceva; quello che per altri sarebbe stato un oggetto inanimato, per lui era mamma, patria, lingua.

Si direbbe che, in questo modo, Leavitt abbia metaforicamente rappresentato l'attaccamento, l'amore, che non ha le stesse forme per tutti, ma per tutti deve avere la stessa dignità.

“Ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare, e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo”(p. 193).

Matilde Morotti

lunedì 2 aprile 2012

Uomo e donna li creò - verso "Itaca per sempre" di Luigi Malerba


 Molti guerrieri che hanno combattuto sotto le mura di Troia sono tornati a casa e dormono con le loro spose. Altri hanno avuto una tragica accoglienza, come Agamennone, punito dal Fato per aver sacrificato la figlia Ifigenia al momento della partenza, per ottenere un vento favorevole. "Solo Ulisse è ancora assente - dice una nuova Penelope  - se cerco di dominare l’ira che mi sale dalle viscere è solo perché temo che sia stato travolto dal mare  tempestoso o lo abbiano accolto i tenebrosi regni dell’Ade”.
Penelope è stanca di fare e disfare la tela, è in pena per lui, ma è anche molto, molto arrabbiata. E l’astutissimo Ulisse dalle gesta coraggiose (decisive per la vittoria degli Achei) si rivela goffo quando ha a che fare con i sentimenti. E’ un’ispezione segreta (convinto che  solo così possa essere veritiera) quella che vuole compiere al suo ritorno sull'isola, per capire cosa è successo in questi venti anni,  senza di lui. Si copre di stracci e si finge un mendicante, vecchio e curvo appoggiato al bastone.
Ma pecca di ingenuità credendo che solo il cane Argo e la vecchia nutrice Euriclea lo abbiano riconosciuto (la vecchia lo teneva sulle ginocchia quando era piccolo e non le può sfuggire la cicatrice sul polpaccio mentre gli lava i piedi).  Penelope, nonostante Omero ce lo racconti, non  si lascia ingannare, neanche per un momento. E' la versione di Luigi Malerba in Itaca per sempre a mettere un po' di verità. Penelope è una moglie innamorata, non ha mai smesso di pensarlo e di sognarlo, come potrebbe non riconoscerlo? E non ha smesso nemmeno di temere, in tutti questi anni, che sia proprio la sua vanità (per i meriti di guerra) a tenerlo lontano da casa, per dispensare ancora fascino e raccogliere altri onori. E si domanda,  la fedele Penelope, come mai lui ritorni nella sua stessa casa sotto false spoglie e non da padrone, e come mai nemmeno la lontananza, la pena, la malasorte non riescano a scalfire la diffidenza di un uomo nei confronti della sua donna. E’ lui, agli occhi di lei, il colpevole di vanagloria, perché per dieci lunghi anni ha trascinato un viaggio di ritorno, che poteva compiersi in un anno. Dunque perché è lei ora ad essere ripagata con tanto sospetto? Cosa aspetta Ulisse a rivelarsi? La rabbia e la  frustrazione (di un corpo giovane e desiderante senza attenzioni né carezze) le fanno dire “ Starò anch’io al gioco della finzione. Vedremo chi riuscirà a trarne maggiore profitto”…”Se mi infliggerà altre amarezze io farò altrettanto con lui”.
Ulisse si rivela tardivamente. E’ fuori tempo! E’ lei a quel punto a fingere di non credergli e lui costretto ad aspettare, a tessere la sua tela. Non è una storia di vendetta, ma il rovesciamento di un punto di vista. Non è quella di Penelope un’attesa passiva, è una cura.  Ulisse piange finalmente. L’eroe ripensa agli anni della guerra (tribolati e felici). Ma quanto fu stupida quella guerra e il suo frivolo pretesto! Ulisse comincia a dubitare di quella forza e di quel vigore che per esprimersi hanno bisogno di ostacoli e di trame. 
Fu la moglie di Luigi Malerba, durante una conversazione, a suggerire  al marito un’interpretazione più credibile della storia d’amore  e d’avventura del re di Itaca. Una lettura lucida e attualissima perché, per certi versi, a Itaca ci siamo ancora, ora e sempre.

Elena Bellei