martedì 21 maggio 2013
Il salotto del martedì - 14 maggio - Casa d'altri, di Silvio D'Arzo
Fine d'anno serio e riflessivo,
dedicato a uno scrittore forse dimenticato, forse morto troppo
presto, uno di quegli autori un po' eccentrici ed isolati (Delfini,
Cavani) che ogni tanto spuntano da noi, in Emilia.
Silvio D'Arzo era sicuramente una
persona speciale. Figlio illegittimo, legatissimo alla madre (che forse traspare in controluce nel
personaggio della vecchia, protagonista di Casa d'altri)
desiderava ardentemente la gloria della pubblicazione – ma Casa
d'altri uscì postumo - eppure si nascondeva dietro una quantità
di pseudonimi. Per vivere faceva il professore e, cosa ben rara anche
oggi, riusciva ad incantare gli studenti con spericolati passaggi dai
Promessi Sposi alla letteratura inglese, di cui era finissimo
interprete. Morì a trentadue anni, di leucemia; è ancor oggi
ricordato quasi solo per un'unica opera, che periodicamente suscita
l'entusiasmo dei lettori, da Montale a Tondelli.
La storia è così esile che si può
riassumere in poche parole: subito dopo la guerra, sull'Appennino
reggiano, una povera donna stanca della sua misera vita chiede al
parroco una deroga dalla proibizione di uccidersi. Vuole farla
finita, ma col permesso della Chiesa. Il prete, condannato da molti
anni alla stessa vita senza luce di speranza dei suoi parrocchiani, è
prima attratto dal mistero di quella solitudine, poi, quando dopo
tante esitazioni la domanda è finalmente espressa, si scopre
disarmato ed impotente di fronte alla disperazione della vecchia: non
ha più parole, non sa consolarla né dissuaderla né indicarle una
certezza. Può soltanto farsi toccare da quella tragedia, che è
anche la sua personale tragedia e quella di tutti gli uomini. Non
sappiamo se la vecchia, alla fine, si uccide o muore di morte
naturale. Comprendiamo solo, assieme al prete, che il mondo in cui
siamo gettati è “casa d'altri”, dove stiamo in affitto; e la
morte vuol dire tornare a casa.
Tutto questo in una cinquantina di
pagine; ma che tensione stringe il racconto, in un gioco di luci ed
ombre, silenzi e rallentamenti, simmetrie e rimandi interni. Gli
eventi sono minimi (rotola un sasso, passano ombre, il cielo trascolora) ma
intrisi di risonanze tutte interiori. È
un mondo arcaico, fuori del tempo, su cui incombe un senso di
fatalità e di tragedia. Sappiamo fin dall'inizio che ci sarà una
catastrofe, che qualcosa succederà, ma quando e come e che cosa,
questo non ci è dato sapere.
Naturalmente, dato l'argomento, si è
parlato molto di cose che negli anni '50 sarebbero state intese in modo meno laico, come ad esempio il
suicidio assistito. Il libro stimola, senza dare certo facili
risposte. Qualcuno tra noi vede in questi cuori in inverno la fioca
luce di una stoica consapevolezza, più preziosa di una speranza. Ci
lasciamo con molti interrogativi, certi però di aver affrontato una
lettura significativa.
Matilde Morotti
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