venerdì 22 gennaio 2010

Un libro un film - Nelle terre estreme di Jon Krakauer



La fine è annunciata già dalle prime pagine e si rivela testualmente, senza pietà per il giovane Chris McCandless, protagonista di Nelle terre estreme di Jon Krarauer. “L’Alaska ha sempre esercitato un certo fascino su sognatori e disadattati, - recita la condanna - su chi pensa di poter rattoppare i buchi della propria esistenza nell’incontaminata realtà dell’Ultima frontiera. Soltanto che la foresta non perdona e di sogni e desideri non sa che farsene”.

Dunque noi sappiamo, prima di lui, che il giovane Alexander Supertramp (questo è nome d’avventura di Chris) non ce la farà, non sopravviverà a “Nord, verso il futuro”, ai confini del sacro, nella terra che fu tormento dei cercatori d’oro, perché i fiumi sono gonfi e impetuosi, le zanzare ti mangiano vivo, in molti posti non trovi granché da mettere sotto i denti e “perché vivere nella foresta non è certo come fare un pic-nic”.

Anche il lettore più appassionato, pronto a puntare su di lui e sul suo coraggio e la sua felice energia, presto dovrà riconoscere che così non va, che gli scarponi non sono abbastanza robusti, il fucile ha un diametro troppo piccolo per uccidere animali di grossa taglia e la riserva di riso è scarsa. E poi gli manca un’ascia, una bussola, l’insetticida…

Eppure, testardi e sognatori, lo seguiamo nella speranza che non faccia scherzi, che non si perda a giocare sull’orlo dell’abisso, e ci aspettiamo che rallenti la corsa, che sia prudente e che magari la giovane figlia dei figli dei fiori della comune hippy di Slab City lo incanti come una sirena con la sua chitarra, o che Wayne lo convinca a restare a lavorare nei silos del Sud Dakota e a bere birra assieme a lui nel pub, o che il vecchio Ron lo tenga con sé, a Salton City, come un figlio adottivo, a colmare il vuoto della perdita di quello naturale, morto sparato da un ubriaco la notte di capodanno.

Ma Chris nessuno lo può fermare, lo spinge la ribellione, la rabbia per il suo passato, per le convenzioni ipocrite della società, e il terrore delle trappole, come succede ad ogni animale selvatico.

Sarebbe però un bagaglio ben meschino quello che Supertramp si porta appresso se accanto a questa rabbia non trovasse posto nel suo zaino un sincero desiderio di interiorità, di poesia e di assoluto.

Così il nostro eroe per due anni attraversa un bel pezzo d’America a piedi e chiedendo passaggi a chi incontra sulla strada, o nascosto tra le merci dei vagoni dei treni; dal Sud Dakota, all’Arizona, dalla California al Messico senza negarsi il brivido incosciente del kayak tra le rapide del Colorado, giù fino al Golfo del Messico.

Nella vita - scrive Chris nei suoi diari - quello che conta non è essere forti ma sentirsi forti. Misurarsi con se stessi, almeno una volta”.
Un viaggio esistenziale, dunque, alla ricerca di sé, della libertà, della verità. Quella che Chris non trova nel mondo civilizzato, non trova nel mondo incravattato degli adulti “per bene”, non trova nella sua famiglia che pure lo ama, e che lo vuole ad Harward e lo vede proiettato in un futuro “brillante”.


Infine l’Alaska. Nella natura selvaggia, là dove finisce la terra, Christopher rimane 120 giorni, dormendo in un vecchio autobus abbandonato, mangiando quel gli regala la natura, studiando bacche e radici per poterle riconoscere come commestibili, cacciando, resistendo al freddo e alla solitudine. Resterà a misurare se stesso, a cercare qualcosa, forse a comprendere dolorose verità, a commuoversi per l’infinita bellezza della natura, leggendo Tolstoj e Thoureau, e lasciando lui stesso tracce della sua prosa.

Nel suo taccuino pochi giorni prima di morire (per aver ingerito radici non commestibili) scrive, tra le tante verità incontrate sulla strada, l’ultimo pensiero: “la felicità più autentica è reale solo se condivisa”.


Elena Bellei, conduttrice del Gruppo di Lettura della Biblioteca Delfini

5 commenti:

  1. Into the wild
    “Volevo il movimento, non un'esistenza quieta. Volevo l'emozione, il pericolo (...) Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla.” (L.Tolstoj, cit. nel libro)
    Il nucleo del film sta qui, è raccolto nella folle idea di affrontare la natura più selvaggia “nudi”, senza mediazioni di modernità, per tornare allo stato puro e più primordiale dell’uomo, solo davanti alla natura. Una natura tuttavia vista e contemplata con uno sguardo intellettuale e spirituale assieme accompagnato dai più grandi autori di natura vissuta..London, Thoreau..ma anche Twain..e molti altri.
    L’impossibile che vuole farsi possibile e muore della sua stessa audacia, del suo stesso idealismo incosciente.
    Chris-Alex è il protagonista del film-summa, apoteosi della cinematografia americana sul mito dell’”on the road” ma non solo lungo interminabili strade d’asfalto..questa volta è l’Alaska che aspetta Chris per la sua ultima avventura dopo due anni di vagabondaggio per le “strade blu” (dallo splendido libro omonimo di Least Heat-Moon) dell’America rurale..
    E al di là della sua fine da alcuni considerata come una beffa da sprovveduto presuntuoso o da cieco egocentrico idealista, quello che resta nel profondo dello spèttatore del film e del lettore del libro è un senso acuto e irresistibilmente attraente di libertà assoluta ed estrema.
    Il fascino, l’incanto del film è accresciuto dalle superbe scenografie naturali e della stupenda colonna sonora di Eddie Vedder (leader della band rock dei Pearl Jam che qui abbandona i consueti toni duri e ruvidi per esprimere semplici e scabre sonorità perfettamente in sintonia coi paesaggi e gli stati d’animo).
    E così quasi senza accorgersene lo spettatore (più che il lettore) si trova a spogliarsi di quasi ogni suo avere, a camminare a fianco a Chris , a correre lungo le strade , a vivere di poco o nulla, a sognare il culmine dell’avventura a contatto solitario con la purezza della natura incontaminata. La stessa natura che gli si oppone senza speranza nell’ultimo sforzo quando una intensa luce innaturale lo rapisce nel guscio del suo “magic bus” , nella natura selvaggia..

    Sean Penn ha voluto fortemente questo film chiedendone i diritti alla famiglia di Chris per quasi dieci anni.. quando ormai aveva perso le speranze, gli arrivò l’autorizzazione. La pellicola a mio parere surclassa mille volte il libro di Krakauer da cui prende spunto la vicenda accaduta realmente. Il volume infatti è più una cronaca della vicenda di uno sfortunato studente in cerca di avventura che un’avvincente vicenda umana dai toni universali a cui la fa assurgere il lavoro di affascinante poesia realizzato da Sean Penn. Il libro è anche appesantito da una sezione che descrive le vicende dello scrittore come avventuroso scalatore di montagna che non trova nesso con le vicende di Chris se non nella semplice comunanza di rischio e avventura.
    Le citazioni , colte ma non intellettualistiche, sia nel libro sia nel film abbondano e nel film sono anche graficamente molto originali, scorrendo sullo sfondo delle scene come furono scritte dal protagonista.
    Ecco le mie preferite :

    “Due anni in giro per il mondo..niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette libertà estrema, un’estremista, un viaggiatore estremo che ha per casa la strada”

    “Per non essere più avvelenato dalla civiltà lui fugge cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia..”

    “Il mare non fa mai doni, se non duri colpi e qualche volta un’occasione di sentirsi forti..ora io non so molto del mare ma so che qui è così..e quanto importi nella vita non già di essere forti ma di sentirsi forti, di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica soli davanti alla pietra cieca e sorda senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa.”

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  2. Appena tornata dal GdL. Non resisto e devo fare un commento su un pensiero che mi sta girando in testa.
    Se provassimo, per pochi minuti, a dimenticare che "Nelle terre estreme" è una storia vera, se provassimo cioè a considerare il libro una pura finzione letteraria, mettendo da parte l’angoscia e l’inquietudine che la realtà della vicenda suscita, probabilmente tutta la rabbia che è uscita oggi nei confronti di Alexander Supertramp, verrebbe meno.
    Intendo dire che la storia di Chris - come pure la sua morte - è assolutamente perfetta. Tutta la vicenda è mitica, se si concepisce il mito come una storia che continuamente crea significati. Ossia il mito di un giovane uomo che uccide metaforicamente il padre e la madre per andare incontro ad un destino in cui affronta solitario le avventure di una vita fuori dagli schemi; la saga di un essere speciale il quale, nel viaggio per diventare uomo, incontra tanti personaggi che, come sibille, profeti o indovini presagiscono un destino a cui l’eroe non può sottrarsi.
    E come in ogni mito che si rispetti, la storia di Chris non può esimersi dal mettere in scena il più grande mistero della vita, la morte.
    Chris McCandless come un Edipo erculeo. Alexander Supertramp come un Narciso che condivide con Ulisse il peccato di Hybris.

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  3. Distinguere 2 piani di lettura:
    -quello molto emotivo di leggere "Nelle terre estreme" pensando che si tratta di una storia vera;
    - e quello di cogliere significati che possono trascendere la singolare vicenda di Chris McCandless,
    è un percorso che anche a me è venuto spontaneo fare.
    Nel post di Thelma è stato evocato l'accostamento Chris-Edipo (molte linee anche psicoanalitiche che attraversano lo sguardo retrospettivo di Krakauer portano a dedurre che c'è una problematica molto forte, rappresentata dal rapporto con il padre).
    Io vorrei evocare l'accostamento con un altra figura "mitica", vale a dire Chris-Adamo.
    Se quella di Chris è anche un'avventura estrema della coscienza, il suo viaggio verso le terre estreme tra i ghiacci dell'Alaska non adombra anche la ricerca di un'impossibile catarsi? Da cosa? Forse da un originario avvelenamento? Con Rosseau, Chris condivide il pensiero che la società altro non sia che un sistema che quasi ci costringe ad essere malvagi, meschini, corrotti. Così scrive di se stesso nei diari "...fino al grande bianco del Nord. Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina sulla terra per smarrirsi nella foresta".
    Come cercare un rimedio a un peccato adamitico, quello di chi si è avvelenato la vita, cogliendo il frutto avvelenato.
    Ma sapere se qualcosa è un veleno o no, è una questione di sperimentazione, non lo si sa in anticipo.
    Come ci spiega Krakauer, Chris spinto dalla fame, commetterà l'errore di cogliere da una pianta bacche velenose: "Fiaccato dai semi velenosi, McCandless scoprì di essere improvvisamente troppo debole per mettersi in marcia verso la salvezza...precipitò in una spirale di deperimento che lo portò alla morte".
    L'etica è anche questione di esperienza, non solo di forza di volontà, coscienza e ideali,e il giovane ventenne Chris non ne ha avuta a sufficienza per trovare, tra le insidie, una strada, se non incontaminata, almeno orientata verso una qualche possibile salvezza.

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  4. Raccolgo - e rilancio - la provocazione di Thelma. Forse l'operazione che propone (di considerare la vicenda di Chris in qualche modo "mitica") può funzionare per il film, che in effetti riesce a collocare la vicenda in uno spazio che va al di là della pura cronaca e la trasforma - attraverso una accurata ricerca stilistica (luci, musiche, fotografia... ) in una vicenda in qualche modo epica: l'eterno conflitto tra genitori e figli, l'eterna ricerca della felicità e della purezza, l'eterna nostalgia per uno stato di natura buono e incontaminato.
    Se però torno al libro, devo dire che la lettura è stata inizialmente faticosa (non amo molto il genere "cronache di avvenure estreme", perché - da "non temeraria" fatico ad identificarmi); ma il libro si è in qualche modo "acceso" tra le mie mani solo quando ho letto i due capitoli che inizialmente ero tentata si saltare, cioè quelli autobiografici, che ci fanno capire la chiave di lettura che di quella vicenda dà l'autore. Il libro è in qualche modo diventato, a quel punto, una "autobiografia dell'anima" attraverso la biografia di un altro e il tema chiave resta per me il passaggio dall'adolescenza all'età adulta con tutte le sue insidie (questo sì tema caldo che risuona per la madre di una ragazza coetanea di Chris!)Un passaggio che per Jon si è compiuto (anche attraverso una prima rinuncia ad una impresa impossibile) mentre per Chris si è spezzato. Per questo la storia, per quanto "bella", resta comunque "triste". Chris non ce la fa, e non c'è trasposizione nel mito che possa risarcire questa perdita.

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  5. Crhis è un nome adatto a richiami serali, lanciati a piccoli cacciatori di rane e di nidi,avventurosi, persi tra le coltivazioni di vaste pianure ; a questo richiamo risponde un'eco indocile, caparbio, riottoso per annunciare un ritorno strascicato, deviante, ma certo.
    Chris non è un nome adatto a richiamare silenziosi, cupi, dotati giovinetti.
    Per i viali delle grandi città, dai giardinetti curati, perfetti, prevedibili, le madri non lanciano richiami... non possono, e così, talora, questi silenziosi, appartati, brillanti figlioli non fanno ritorno per la cena. E vagano, pellegrini solitari, perchè non possono portare nessun altro dolore fuorchè il proprio; vanno lontano, dove non li possa raggiungere alcun richiamo domestico.
    Inadatti a vivere nel mondo che è stato loro dato, inabili a crearne uno nuovo, si affidano alla più severa delle madri, la Natura.

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