sabato 3 dicembre 2011

Il salotto del martedì - verso "Non lasciarmi", di Kazuo Ishiguro




Kazuo Ishiguro, Non lasciarmi, Einaudi 2006


Nato a Nagasaki nel 1954, ma emigrato con la famiglia in Gran Bretagna nel 1960, Kazuo Ishiguro scrive in inglese ed è considerato uno dei massimi scrittori britannici, anche se nei suoi libri resta l'eco della cultura d'origine.
Chi legga il suo Quel che resta del giorno (da cui è stato tratto un bel film con Anthony Hopkins) si troverà immerso in un universo molto british, con argenti lustri, maggiordomi impettiti e ardori sentimentali covati per anni sotto la cenere, per non parlare di un senso di crepuscolare rassegnazione e di rinuncia a modificare il proprio destino.
Anche questo Non lasciarmi (2005) descrive un paesaggio molto inglese: un collegio abbastanza d'élite, immerso nel verde della campagna, in cui gli studenti sono educati alla vita interiore, alla bellezza, all'arte e sono incoraggiati ad esprimere la loro creatività. Eppure, fin dall'inizio, in questo mondo apparentemente privilegiato si rivela un'incrinatura, una crepa che si approfondirà sempre di più, portandoci con delicatezza insinuante nel cuore nero di un mistero che resterà comunque in parte inesplorato. Perché i ragazzi non ricevono visite dai genitori? Che cosa sono le “donazioni” di cui si parla fin dalle prime pagine? Perché alcuni insegnanti non riescono a nascondere un senso di ribrezzo nei confronti dei loro allievi? E perché a questi ultimi è fatto divieto tassativo di fumare?
L'io narrante dal nome kafkianamente amputato (Kathy H.) segue il filo dei suoi ricordi e c'è, in questo riavvolgersi del nastro della memoria, molto di non detto, di esitante e continuamente interrotto. Alla fine noi pensiamo di aver capito, ma ci resta un dubbio: che storia ci è stata raccontata, in realtà? Forse questa è l'utopia a rovescio di un possibile mondo in cui la scienza ha valicato i confini dell'etica. Oppure una favola, un mito che (non) spiega il mistero della creazione, di come nasce e muore la vita. O, ancora, un romanzo d'amore, in cui i protagonisti hanno, a dispetto di tutto, una fede incrollabile nella loro capacità di piegare il destino grazie alla forza dei sentimenti. Il suggerimento più illuminante potrebbe essere quello che ci dà l'autore stesso, quando in un'intervista interpreta il romanzo come una metafora della vita umana.
Effettivamente si potrebbe dire che tutti noi, come i ragazzi di Hailsham, siamo gettati nella vita e non sappiamo perché; qualcuno, fuori e sopra di noi, detta regole che non capiamo e solo quando è troppo tardi ci rendiamo conto che la vita è breve e noi non l'abbiamo ancora vissuta.
Rileggendo in questa prospettiva i romanzi di Ishiguro, si vede che le parole “troppo tardi” ne costituiscono il tema dominante: è troppo tardi per recuperare, per vivere in un altro modo, per evitare di sprecare la vita.
Eppure, in tanto pessimismo, resta una luce: l'amore e la memoria dell'amore. Kathy si attacca ai ricordi come a una consolazione, perché le persone che ama sono scomparse e la memoria diventa qualcosa di prezioso, cui ci si può aggrappare senza disperarsi: “Se avessi aspettato abbastanza,una minuscola figura sarebbe apparsa all'orizzonte in fondo al campo e a poco a poco sarebbe diventata più grande, finché non mi fossi resa conto che era Tommy, e lui mi avrebbe fatto un cenno di saluto con la mano, forse mi avrebbe chiamata”.














Matilde Morotti

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