martedì 13 novembre 2012

Il salotto del martedì - 6 novembre 2012 - Vergogna, J. M. Coetzee

Libro complesso nella sua apparente semplicità espressiva, questo Vergogna di J. M. Coetzee (Einaudi 2000), sudafricano che scrive in inglese, vincitore nel 2003 del Nobel per la letteratura.
La storia, all'inizio, è un po' banale: ci viene presentato il professor Lurie, titolare di una cattedra di Scienze delle comunicazione nella razionalizzata Cape Technical University. Gli lasciano tenere, quasi per benigna concessione, un corso all'anno sui suoi prediletti poeti romantici, ma è evidente la sua sfasatura culturale rispetto agli studenti e a tutto il mondo che lo circonda, cioè il nuovo Sudafrica post apartheid.
David Lurie ha superato la cinquantina ed è un uomo senza emozioni; reduce da una vita che lo ha deluso, anche sul piano sentimentale (è due volte divorziato), ha trovato un suo equilibrio nei tranquilli rapporti con una prostituta e si è adattato ad una “felicità” senza echi.
Su quest'uomo senza qualità piomba improvvisamente la disgrazia, sotto forma di sconvolgente impulso erotico verso una ragazzina neanche tanto speciale: una studentessa qualunque (ci chiediamo se sia nera, come il nome Melanie potrebbe lasciar indovinare).
Qualcuno osserva che il titolo originale, tradotto in italiano con Vergogna, è in realtà, significativamente, Disgrace, il che allude allo stato di disgrazia collegato alla catena colpa-vergogna-pentimento-espiazione-redenzione.
J. M. Coetzee
Dunque David commette una colpa di natura sessuale, avendo abusato di una ragazza che potrebbe essere sua figlia; in realtà non è stato un vero e proprio stupro, ma di certo il professore più anziano ha usato in modo improprio del suo potere maschile-paterno. Di questo, però, non si pente e non chiede scusa, finché una nuova e molto più grave violenza non manda in pezzi la sua vita. Rifugiatosi presso la figlia Lucy, una specie di hippy che alleva cani in una fattoria, David deve subire l'assalto di tre uomini (il gruppo etnico di appartenenza non è mai detto esplicitamente, in Coetzee) che stuprano la ragazza e gli danno fuoco. Da quel momento, David scende sempre più in basso nella scala sociale; ora è lui l' “uomo dei cani”, in una specie di nemesi storica che, rovesciando i rapporti bianco-nero, pone le basi per un nuovo mondo tutto da ricreare. Nella rigenerazione del protagonista, che in effetti alla fine del libro è un uomo completamente diverso dall'inizio, sembra avere un ruolo importantissimo la pietas verso gli animali destinati alla morte.
Con un amore in cui alcuni di noi non riescono a non sentire echi quasi francescani, David accompagna al loro destino, confortandoli, i “fratelli cani:” i vecchi, i ciechi, gli zoppi, gli storpi, i mutilati...”.
Ci interroghiamo a lungo sul senso del romanzo, soprattutto sulla “colpa” di David e sui motivi per cui Lucy, che scopriamo essere incinta in seguito alla violenza, tace e non denuncia gli aggressori. Ci sembrano illuminanti le parole della ragazza al padre, che le chiede se vuole già bene al bambino, “figlio di questa terra”. “Al bambino? No. Come potrei. Ma gliene vorrò... intendo diventare una brava mamma, David. Una brava mamma e una brava persona”. Forse Lucy vuole contribuire al difficile processo di riconciliazione, che in Sudafrica porta con sé strascichi di violenza, incomprensione, vendetta. Ecco perché non denuncia gli aggressori; e anche perché ama incondizionatamente quel luogo e quella vita e vuole viver proprio lì, a qualunque prezzo.
Una delle ultime scene ce la presenta inaspettatamente bella come in un quadro impressionista, una giovane madre baciata dal sole, tra i fiori, le api, i colori e i profumi di una terra antichissima e appena nata.
Si potrebbe discutere quasi all'infinito, tanti sono i temi, dal rapporto campagna-città alla paternità, alla storia, alla creazione artistica, all'eutanasia. Ci lasciamo con l'impressione di aver affrontato un testo duro, ma significativo come pochi.

Matilde Morotti

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