martedì 2 novembre 2010

Il salotto del martedì - verso "La macchia umana", di Philip Roth

Quando daranno il Nobel a Philip Roth? I lettori se lo chiedono da tempo, affascinati da questo scrittore statunitense di origini ebraiche, autore di vasti affreschi come i romanzi che costituiscono la cosiddetta “trilogia americana”: Pastorale americana (premio Pulitzer 1997), Ho sposato un comunista e, infine, La macchia umana (2000).
Il protagonista di quest'ultimo romanzo, Coleman Silk, ha costruito la sua vita su una menzogna e la porta avanti con così feroce determinazione da rompere i ponti con la sua stessa madre. Nessuno, nel campus in cui per quasi quarant'anni è stato professore e preside di facoltà, può immaginare il suo segreto, la macchia che, come tutti, Coleman si porta addosso e che ne segna l'indecifrabile destino.
Questo è uno dei “fili” che percorrono il libro: ogni vita umana è un abisso e la verità che ci riguarda è infinita. “Per quanto il mondo sia pieno di gente che va in giro credendo di conoscerti, di conoscere te o il tuo vicino, l'ignoto è davvero senza fondo”.
E figurarsi cosa succede se, a queste persone che credono di conoscerti, sembra di scoprire un piccolo scandalo che ti riguarda, che rovescia l'immagine che finora si sono fatti di te. Questo capita: a Coleman, del tutto innocente, sfugge una parola insidiosa che, interpretata maliziosamente, porta nella sua vita il disordine, il caos, la barbarie. Il destino che l'eroe (possiamo davvero definirlo così) si era forgiato, sbarazzandosi delle proprie origini e inventando la propria vita, cade a pezzi, distrutto dal falso perbenismo e dall'ipocrisia. Il tutto sullo sfondo dell'America bigotta dello scandalo Lewinsky, quando il segreto di Clinton venne a galla suscitando un'orgia di moralismo e di meschinità.
Ma il caos contiene in sé un elemento di chiarificazione, in quanto questo momento terribile della vita di Coleman si rivela infine come l'ultima possibilità di confrontarsi con la verità dell'esistenza. Ciò avviene grazie all'incontro con la femminilità violata, trasgressiva e alla fine salvifica di Faunia, che riporta il vecchio professore in contatto con la parte più dionisiaca di sé. È “l'ultimo amore”(esplicito il richiamo a Morte a Venezia), l'ultima possibilità di abbandonarsi alla turbolenza e all'intensità della vita.
È quasi impossibile render conto della molteplicità di messaggi, di piani di lettura, di storie e personaggi che anima questo libro densissimo. Ai temi accennati se ne affiancano molti altri, tutti condensati in una figura emblematica, dalla disperazione dei reduci dal Vietnam, rappresentata dal marito di Faunia, alle difficoltà d'apprendimento dei piccoli dislessici, allievi della figlia di Coleman.
Il tutto, per di più, filtrato attraverso lo sguardo dell'io narrante, che ancora una volta è l'alter ego di Roth, Nathan Zuckerman: questo complica ulteriormente il punto di vista, offrendoci l'autore come personaggio.
La macchia umana ci offre contemporaneamente un'immagine credibile di un determinato periodo storico e uno scandaglio gettato sulle profondità dell'animo umano, universale come la tragedia greca che il professor Coleman conosce così bene.


Matilde Morotti, gruppo di lettura "Il salotto del martedì"

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