mercoledì 7 marzo 2012

Uomo e donna li creò - verso "Biglietto scaduto" di Romain Gary

“Io non invecchierò mai…Ho fatto un patto col Signore”.


Romain Gary, scrittore francese, di origine lituana (il suo nome è Romain Kacev, figlio di un’attrice di breve fama e di un grande del cinema muto) rispetterà il patto, già anticipato nei suoi libri come una premonizione annunciata, mettendo fine alla sua vita all’età di 68 anni, con un colpo di pistola.

Aviatore di carriera, partigiano nella guerra di liberazione insignito con la legion d’onore dal generale De Gaulle, scrittore, giornalista, regista, uomo politico, ambasciatore di Francia, considera la sua attività letteraria, e così anche il sesso, come una valvola di salvezza per il suo straordinario vitalismo e il suo “appetito di vita”, come lui lo chiama. Se vita e scrittura si intrecciano al fondo dell’autenticità di ogni autore che si possa dire tale, in Gary si spinge fino alla mancanza di pudore, specie in La promessa dell’alba definito uno dei più straordinari tributi mai scritti da un uomo alla madre e giuramento di un’ ideale battaglia esistenziale contro le meschinità del mondo; quelle affacciate alla guardiola della portineria a gridare: “sporco americano, sporco russo, sporco arabo, sporco ebreo, sporco negro”. A trent’anni è un eroe di guerra e scrive il romanzo Educazione europea che Sartre giudica in assoluto il miglior testo sulla resistenza. Vince due volte il premio Goncourt, di grandissimo prestigio in Francia, al pari di un Nobel per la letteratura.

I critici lo definiscono un talento dalla personalità eccentrica e dispersiva, e c’è chi trova nei suoi testi il tormento di un uomo in affanno per l’adesione ad un modello virile che non ammette defaillance.

Lituano di nascita, di fede ebraica, migrante assieme alla madre prima in Polonia poi in Francia, costretto in un adattamento sociale e culturale tra mondi incrociati, si definisce un camaleonte che prende il colore dell’ambiente per proteggersi, ma che infine rischia la pazzia su un tappeto di troppi colori. Non nasconde a questo proposito l’influenza dell’amatissima madre che ripone in lui aspettative altissime (le promesse dell’alba, appunto), che, da ragazzo prima e da uomo adulto poi, ricompensa con i suoi innumerevoli successi, tra disarmante sincerità e numerose maschere.

Dice di sé, in una intervista in occasione del premio Goncour all’uscita di Le radici del cielo: “Sono stato occupato a vivere, ora non ho più stomaco per tutto questo appetito”, come se al rallentare di una vita lanciata al massimo intravvedesse già imminente la fine.

E’ questa paura del decadimento fisico, dell’energia intellettuale e creativa, la protagonista principale di Biglietto scaduto, metafora di un viaggio inaspettatamente segnato da un limite di fine corsa, oltre il quale non è concesso andare. La storia è quella di Jaques Rainier, ricchissimo e brillante imprenditore 59enne, ossessionato dall’invecchiamento del suo corpo, e dalla “malattia virile, con i suoi millenni di possesso, di vanità e di paura di perdere”. Accanto a Jaques fiumi di denaro, una giovane amante brasiliana, infelicemente innamorata, e diversi squali del mondo finanziario impegnati in simboliche imprese di salvataggio (mecenati alle prese con Venezia da salvare, prima che sprofondi del tutto, o con la torre di Pisa da raddrizzare, prima che sia troppo tardi). Un linguaggio che tende anche a svelare il significato compensatorio del denaro, e di una cultura “ormonale” (quali sono in definitiva i capitali da investire e da “diversificare”, su cosa puntare per evitare il rischio di “svalutazione”?).

Un registro ironico e dolente di un narratore/attore, apparentemente soddisfatto della sua vita reale e virtuale, che perde di vista l’identità corporale e il senso stesso del limite, si guarda senza riconoscersi e fa dire al suo protagonista: “comincio a spiare il mio corpo come fosse il corpo di un estraneo venuto a prendere il mio posto”.

Il suicidio apparecchiato con cura dal protagonista (“voglio morire pulito”) e nella realtà (dopo aver comperato una vestaglia rossa per non impressionare troppo chi lo troverà) non ha i segni di una patologia violenta, parla piuttosto di un coraggio lucido, del naturale esito di una vita fuori dal comune: cercare in vita l’immortalità e poi morire, anticipando la fine. Dunque ancora una vittoria, il gesto finale del torero vincitore (che porta del toro in trofeo le due orecchie e la coda), perché c’è più coraggio nell’anticipare la morte che nella consapevolezza di doverla accettare. Ma su questa ultima e apparentemente definitiva certezza Jaques Rainier e Romain Gary daranno risposte diverse. E’ certo per noi, il coraggio di Gary che ci riguarda come lettori è quello di aver dato voce alla paura maschile più intima e più antica con crudezza, onestà e poesia.


Elena Bellei

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