mercoledì 16 dicembre 2009

Un libro un film - Il pranzo di Babette di Karen Blixen


Se il tema centrale del suo romanzo/diario, La mia Africa, (il più famoso di Karen Blixen) è il possesso, e l’intima volontà di lasciare un’impronta nell’animo altrui, quasi come una bandiera in terre che non ci appartengono (ricordiamo che la storia si dipana in epoca coloniale), l’asse portante del racconto Il pranzo di Babette è, al contrario, il dono.

Da una parte dunque la volontà di possedere, attraverso la seduzione e l’amore, ma anche con il denaro o la caccia grossa, o l’imposizione della propria cultura, dall’altra la gioia di condividere un piacere e assieme ad esso una verità che dice pressappoco così: il più bel dono è il tuo essere più autentico, dunque non tradire la tua “arte” e dai il meglio che puoi.

Filippa e Martina, le sorelle timorate di Dio del racconto (che fa parte della raccolta I capricci del destino) offrono generosamente alla povera comunità luterana di Berlevaag ciò che possiedono, ma minestra di patate e merluzzo secco si rivelano a lungo andare offerte misere come il loro misero spirito, mai alimentato dai piaceri della vita. Sì perché bellezza, talento e amore, quello vero fatto di abbondanza e non di privazione, di gioia e non di mortificazione, è sacrificato sull’altare della fede.
Il villaggio ha piccole case, una piccola chiesa, piccoli scialli grigi sulle spalle intirizzite dal freddo norvegese, e la frugalità materiale ed emotiva vissuta come una intima ricchezza (eredità del padre decano e profeta) non sarà garanzia di perenne armonia nella comunità ma origine di sottili rancori. Fino a quando non arriva Babette.
Babette è una raffinata cuoca francese, (ma la sua identità non sarà svelata se non alla fine della storia) in fuga da Parigi per le sue battaglie rivoluzionarie, alla ricerca di un rifugio sicuro nel desolato villaggio.


Babette, tanto grande quanto umile, presta servizio presso le sorelle cucinando zuppe di pane fino a quando una vincita alla lotteria non le permette di offrire alla piccola comunità un ricco pranzo alla francese, con menu a base di… brodo di tartaruga, cailles en sarcophage, blinis Dermidof, pregiato Veuve Cliquot, eccetera, eccetera, eccetera.
Tra i commensali solo il generale Loewenhielm, spasimante respinto da Filippa tanti anni prima e uomo di mondo (in visita al villaggio con la vecchia zia), riconoscerà Babette e il valore di quel cibo delle delizie.


Ma anche gli animi più austeri ne saranno intimamente toccati pur senza farne cenno né parola per fedeltà ai severi princìpi della loro dottrina. E per loro la vita non sarà più quella di prima.


Elena Bellei, conduttrice del Gruppo di Lettura della Biblioteca Delfini



1 commento:

  1. Sì, il pranzo di Babette ha un dono per tutti. Sorprendentemente anche per lei: la sua arte viene apprezzata da commensali che non erano nati per capirla e gustarla. Così, la natura orgogliosa di Babette può essere arricchita da un'umiltà diversa, quella di chi può ricevere tanto anche da chi all'apparenza non sa cosa sia l'arte. Forse, senza saperlo, Babette aveva costruito questa umiltà in quei 12 anni di servizio presso le sorelle. Ma a proposito di umiltà, vorrei parlare qui della tartaruga, cui nel racconto non pensa nessuno, se non come brodo o orrore. Noi lettori, che sappiamo viaggiare tra le parole, la possiamo ammantare di valori simbolici: sensualità, eccesso dell'arte, luogo oscuro del piacere. Ma lei è anche se stessa: vita lenta, tenace, durevole, riproduttiva. Lei avrà un pensiero da tartaruga, che io non conosco ma immagino tenue e limpido, distratto e vuoto, una specie di calore cresciuto immobile negli anni, semplice e diretto. Si sarà chiesta Babette se la tartaruga voleva ancora vivere, riprodursi? Babette è il destino crudele della tartaruga. Perchè, d'altra parte, la Blixen ci racconta nel testo la storia del medico che mangiò il bambino grasso? L'arte richiede un sacrificio? E' un dono, sì, che trasforma l'anima, ma può accadere che quel dono comporti la morte di qualcuno. Che la tartaruga possa significare il corpo, l'anima dell'artista? Il dono dell'arte richiede il suo sacrificio? Per dare il meglio di sè Babette rinuncia al denaro, cede all'arte, che le dà in cambio l'esilio perpetuo. Un esilio pieno di affetti e riconoscenza, ma che però la terrà lontana da se stessa. Forse Babette, come dicevo sopra, accede a una condizione di umiltà che ha una sua pienezza. Il pranzo sembra una grande opera alchemica che chiude col passato e trasforma. Nulla sarà più come prima.
    Ma torniamo alla tartaruga. E alla quaglia, o alla nostra gallina e al nostro maiale nascosti nei tortellini natalizi. Essi muoiono per la nobile causa di nutrirci. Saranno felici di farlo? Questi sono pensieri troppo umani, ma non sono da deridere. Bisogna sempre tornare alle radici della bellezza e della bontà per capirle. Mai dimenticare il sacrificio che comporta mangiare bene o leggere un buon libro. Si dice chela natura non esista più, che esista solo cultura umana. Ma c'è sempre una crepa, un buco, qualcosa che d'improvviso ci rivela che la natura naturale è lì ad aspettarci, a chiederci, se non altro, uno sguardo religioso. Il pranzo di Babette mi fa venire in mente che siamo esseri dipendenti da tutto, bisognosi di tutto. Questo tutto noi non dobbiamo mai smettere di ringraziare. Sia dunque resa lode a chi si offre e si sacrifica per la bellezza e l'arte, per la vita nostra. Senza moralismo, senza nessun dio. Amen

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