Dopo la presentazione del blog del Gdl, Elena Bellei introduce la figura misteriosa dell'autrice: Elena Ferrante, scrittrice senza volto, che fa sentire la sua voce esclusivamente tramite la scrittura. Uno strumento così potente – come lei stessa ha spiegato – da lasciare lo scrittore totalmente esposto, tanto da rendere superflua qualsiasi altra forma di comunicazione. Forse utilizza uno pseudonimo, e c'è chi ha pensato a Domenico Starnone o Goffredo Fofi.
Per conoscerla meglio leggiamo, al termine dell'incontro, alcuni brani da La Frantumaglia, raccolta di lettere, scritti vari, interviste.
Breve resoconto della discussione
Il soggetto portante del libro, definito da alcuni critici “thriller dell'anima”, sembra essere la ricerca e la ricostruzione dell'identità della protagonista Delia, tramite la (ri)-scoperta della madre Amalia.
Il romanzo appare come un'esaltazione dell'ambiguità: ogni personaggio fluttua in uno scenario dove ogni azione può venire annullata da un gesto di segno opposto. In primis Delia, con il suo aspetto androgino, il rapporto amore-odio che la lega alla madre Amalia – lei stessa sciatta oppure vezzosamente elegante – e ancora il suo essere stata una bambina dallo sguardo adulto, costretta a vigilare sulla madre dalla sensualità dirompente.
Il libro è l'elaborazione di un lutto profondo, la morte della madre, intesa anche, e soprattutto, dal punto di vista simbolico. Il flusso mestruale copioso che colpisce Delia al funerale, il vestito rosso che Delia decide di indossare sembrano suggerire una lettura simbolica, attraverso la morte della bambina che è in lei. La catabasi di Delia è la discesa in una città infernale, la Napoli della sua infanzia: un viaggio di purificazione che si compie attraverso il sangue (alcune notano analogie con la simbologia del sangue di Quell'oscuro oggetto del desiderio di Buñuel) e la porta alla rinascita nel mondo adulto. D'altronde, lo stretto legame tra morte e nascita si annuncia fin dall'incipit del romanzo: «Mia madre annegò la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno».
In tutto il libro, Delia bambina rivive in Delia adulta. La piccola Delia e il padre desiderano entrambi la stessa cosa: avere Amalia tutta per sé, in maniera esclusiva. Il padre reagisce alla libertà della moglie malmenandola, Delia chiudendosi nello sgabuzzino da piccola, e rifiutando la madre da grande. Come tutti i bambini, Delia nega la sensualità e la sessualità della madre, che vorrebbe eterea come un angelo: è impaurita dall'esuberanza di una donna che si dimostra alla lunga vincente, capace di lasciare il marito e di concedersi un gioco erotico senile. Amalia è una donna aperta, dalla sensualità a tratti volgare, come quando si alza la veste in ascensore per rinfrescarsi.
Eppure, in questo gioco di rimandi simbolici, Amalia si rivela una sorta di Grande Madre. Consapevole della propria imperfezione, insegna alla figlia che la vita è un coacervo di compromessi e contraddizioni, come quando le lascia in dono il vestito rosso, segnalandole un modo di vivere altro, liberato, sanamente femminile. Amalia indica una via d'uscita a Delia, la quale, dopo il rifiuto iniziale, incorpora in sé alcune caratteristiche materne. Per alcune, l'ultimissima frase del romanzo, «Io ero Amalia», rivela la completezza conquistata da Delia, che si riappropria di quanto perso della madre arrivando ad un'identità compiuta, anche se non necessariamente felice.
Ma rinascere da se stessa, come la fenice, è un percorso tortuoso. Delia deve prima perdonarsi l'errore commesso da piccola, un errore fatale, ma pur sempre l'errore di una bambina, priva degli strumenti per elaborare le intuizioni, le emozioni, le paure che la divoravano. Proprio lei, che proteggeva la madre dagli sguardi degli uomini perfino sui mezzi pubblici, era arrivata a tradirla con una bugia. Delia, innamorata di Caserta – il corteggiatore della mamma – di un amore infantile, così infatuata da arrivare a identificarsi con la madre e allo stesso tempo esserne gelosa, sfinita dal continuo “controllo” su una donna costantemente oggetto delle attenzioni maschili, aveva preferito la tragedia piuttosto che la continua sofferenza. La difficoltà dell'infanzia è ribadita nel libro: «L'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto: la mia almeno era stata così».
Se il rapporto tra donne è burrascoso, interrotto, ma alla fine salvifico, non si può dire altrettanto delle relazioni con gli uomini. Sono tutte figure negative: di un'aggressività bieca e fine a se stessa, come il padre; disgustose, come solo un vecchio sporcaccione può essere (il vecchio Caserta); di un maschilismo ignorante e antiquato come lo zio, solidale col padre anziché con la sorella; “geneticamente” meschine come tutta la schiatta dei Polledro. Delia nega l'idea del maschile anche nel sesso, dove si arresta prima del rapporto completo.
Un certo naturalismo alla Zola compare soprattutto nella descrizione dell'underground napoletano e delle pulsioni emotive che da esso sembrano generarsi: l'oscenità e volgarità dei bassifondi impediscono a Delia di vivere l'idea infantile della madre eterea. Nella descrizione di una Napoli brulicante di corpi, in cui i personaggi sono continuamente incalzati, inseguiti, dove non c'è salvezza perché non c'è solitudine, anche la lingua gioca un ruolo importante: il dialetto gridato, gli insulti a sfondo sessuale, il gergo osceno rimandano Delia alla sua triste infanzia. Tanto Napoli quanto il dialetto vengono disconosciuti, rifiutati per la loro urlata promiscuità.
L'ambiguità del libro sembra ripetersi anche nel confronto tra le tematiche e lo stile: se i contenuti sono assolutamente “di pancia”, con un'enfasi sul corpo che spinge verso un'attribuzione femminile, allo stesso tempo lo stile asciutto, secco, bloccato in un ritmo serrato, rimanda ad un autore uomo.
Il romanzo è indubbiamente un viaggio nell'inconscio. Un inconscio indagato con tale e tanta perizia tecnica da far presumere che dietro l'autrice si nasconda un esperto psichiatra. Parimenti, il fatto che ogni donna vi ritrovi almeno un elemento con cui identificarsi, un po' disturba: sembra di trovarsi di fronte ad una casistica da manuale di psichiatria. Così, il clima claustrofobico, infarcito di violenza fisica e morale, la pesantezza di alcune situazioni, senza poesia, senza tenerezza, sono, per qualcuna di noi, del tutto gratuite.
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