venerdì 27 aprile 2012

Il salotto del martedì - 14 aprile 2012 - La lingua perduta delle gru

David Leavitt, La lingua perduta delle gru, Mondadori
Un romanzo così intenso e realistico non può non aver suscitato qualche reazione negativa, a causa soprattutto del verismo di alcuni dettagli di natura sessuale. Non tutti, però, hanno giudicato eccessiva o gratuita l'insistenza su certi particolari: non è sfuggita la sofferenza autentica che percorre queste vite, disgregate da una rivelazione per tanti versi inevitabile e attesa. Ma quanta ipocrisia, quanto inganno ed autoinganno, prima di fare i conti con la verità.
Come ha potuto Rose nascondere a se stessa per tanti anni il vuoto della vita che andava spalmando di menzogna e di silenzio, con la stessa cura con cui copriva di lucida glassa le sue torte? Eppure ha chiuso gli occhi, perché poi dove sta scritto che dire la verità semplifichi le cose? Come dice al marito: “Per me la cosa vera sei sempre stato tu”.
Invece il figlio Philip, che appartiene ad una generazione diversa, ha trovato il coraggio di parlare; così pure il marito, anche se straziato dal senso di colpa, non può fare a meno di vivere fino in fondo le sue tendenze omosessuali.
Il vero argomento del libro non sembra essere, comunque, tanto l'omosessualità, quanto la comunicazione tra esseri umani chiusi in quell'entità misteriosa chiamata “famiglia”: un romanzo sulle parole e su come le parole si organizzano in una lingua che non sempre è quella convenzionale, che tutti capiscono. Forse Leavitt vuole dirci che occorre trovare “le parole per dirlo”; poi è lo stesso se le rivolgi a una donna, o a un uomo, o a una gru.
Matilde Morotti

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