giovedì 22 aprile 2010

Un libro un dono



Elizabeth von Arnim, Il giardino di Elizabeth, Bollati Boringhieri 2001
Elizabeth non coltiva le virtù delle donne di casa tedesche, non ama cucinare né cucire né spolverare. Alla casa preferisce il giardino, circondato da fiordalisi e prati, da grandi distese di brughiere sabbiose e da foreste di pini, non lontano dalle spiagge fredde del Baltico.


E’ considerata un’eccentrica per quel suo rimanere per ore in giardino a leggere, e perché diversamente dai suoi conoscenti è “capace di intrattenersi con se stessa per settimane di seguito e incapace di condividere la frenesia di stare sempre con i propri simili”. Fortunatamente la vecchia casa si trova in un angolo di mondo abbastanza fuori mano da scoraggiare i visitatori occasionali ed Elizabeth non deve temere troppe invasioni della sua solitudine.


Trascorre i mesi invernali a leggere manuali di giardinaggio e a consultare cataloghi di bulbi e sementi, compila liste di acquisti e progetta nuove aiuole e nuovi angoli fioriti. Da febbraio alla fine dell’estate è alle prese con i giardinieri, generalmente inesperti ma comunque restii ad accettare i consigli di una donna: “tedeschi zelanti capaci di disegnare bordure perfette con i fiori allineati come soldati schierati in parata”. Ad Elizabeth invece piace sperimentare accostamenti originali di colori e profumi; a volte esagera e allora in estate il giardino è tutto di piselli odorosi e le bordure fitte di esperidi nascondono il resto. Dai suoi viaggi in Inghilterra porta le zucchine e le primule che riesce ad adattare, come le rose tea, al clima freddo e siccitoso della Pomerania.


Il giardino di Elizabeth è un mondo a parte, dove può godersi “libri, bimbe, uccelli e fiori” e, in inverno, “immergersi in un bagno di purezza”. Dentro casa c’è il marito (l’Uomo della Collera) che tollera a stento le passioni della moglie ed è pienamente complice della società che riconosce alle donne solo la virtù della sottomissione.


Contro il comune sentire del suo tempo, Elizabeth coltiva la felicità perché “più salutare e rinvigorente … di qualsiasi cumulo di tribolazioni e di dolori”.


Leggendo questo libro ci dimentichiamo che l’autrice è vissuta a metà dell’Ottocento tra le rigide convenzioni dell’aristocrazia prussiana e possiamo ripetere con lei: “che cosa deve fare uno quando la sua coscienza è limpida, il suo fegato funziona bene e il sole splende?” Chiuso il libro non ci rimane che uscire a comprare viole e celidonie per il davanzale della nostra stanza preferita.

Questo è il primo post su uno dei libri che ci siamo scambiati a Natale. Tutti sono invitati a commentare anche a partire dalla lettura della loro strenna oppure di un altro libro ricevuto in dono.

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