martedì 21 dicembre 2010

Tanti auguri...





... di buon Natale
e felice anno nuovo!

Un libro, un film - 16 dicembre 2010 - Il mondo deve sapere

In che modo presentare Il mondo deve sapere? Un diario, un'inchiesta, o un manuale di sopravvivenza per casalinghe ignare delle moltitudini di acari che pascolano sui loro divani? In realtà, ciò che colpisce di questo libro non è tanto la forma, quanto i contenuti: la denuncia, espressa con feroce sarcasmo, della violenza psicologica che permea la realtà quotidiana di un call center.

A cosa è diretta questa denuncia? Al duplice sfruttamento psicologico perpetuato nell'emblematico ambiente della Kirby: sfruttamento sia dei clienti, prede da azzannare con ferocia, che degli stessi telefonisti (ovviamente precari), sottoposti ad un lavaggio del cervello studiato nei minimi dettagli. Queste tecniche di violenza psicologica vengono esasperate al punto da generare conseguenze paradossali: importa che il cliente accetti l'appuntamento, ma non ciò che gli viene venduto; importa che il telefonista segua un'inquietante liturgia collettiva, ma non che questa possa nuocere alla sua efficienza (ciò sarebbe blasfemo, se non inconcepibile). Chi comanda veste i panni del carnefice, senza rendersi conto di essere allo stesso tempo una vittima, stritolata dalla cieca venerazione di un sistema che non contempla alcuna differenza tra carnefici e vittime.

La questione principale è quindi la responsabilità da assumersi nei confronti di tale situazione. L'autore, Michela Murgia, scrive in modo del tutto esplicito un libro di denuncia; la protagonista, Camilla de Camillis, rinuncia invece ai propositi bellicosi con cui aveva illuso il lettore di una redenzione finale. Ciò non deve però trarre in inganno: il blog di Camilla “coincide” con il libro di Murgia, destinato a un lettore che corrisponde idealmente all'amica Silvia, utente del blog. Il mondo deve sapere non vuole però essere soltanto una denuncia di cosa avviene nel call center, ma semmai di come tutto ciò può avere luogo. Senza una profonda comprensione di questo meccanismo, non sarebbe possibile capire in cosa realmente consiste la vacuità della vita nel call center.

Il limite fatale dei limite fatale dei telefonisti è l'incapacità di condividere, a qualsiasi livello, il senso della propria esperienza: i loro rapporti sono prestabiliti e non presentano un minimo aspetto di spontaneità o solidarietà. I membri del call center non costituiscono una comunità; se così fosse, del resto, il meccanismo stesso non potrebbe più funzionare. Tutti gli aspetti del lavoro nel call center, anche quelli apparentemente più marginali, sono infatti volti a impedire che un'idea di comunità solidale possa germinare. Ciò che il mondo deve sapere è che, se quest'idea non verrà difesa con cura e passione, il deserto potrà estendersi dal call center alla totalità della nostra vita sociale.

venerdì 17 dicembre 2010

Il salotto del martedì - 14 dicembre 2010 - Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, di Raymond Carver


Il titolo “civetta” può far pensare a storie sentimentali, ma l’aspettativa viene subito smentita: nei racconti l’amore c’è, però è spesso un “malamore” violento e distruttivo, o un amore finito nel divorzio, annegato nell’alcool. Al di là delle storie e dei pareri cinici o disillusi espressi sui sentimenti di coppia dai personaggi dei racconti, un paio di volte fa capolino un amore tenero e senile (alla Filemone e Bauci, dice qualcuno): gli anziani contenti dei loro ricordi di gioventù in “Gazebo”, oppure quelli di “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” (depressi non per il dolore fisico, ma perché le ingessature impediscono loro di girarsi e vedersi) rappresentano forse un esempio cui tende una aspirazione più o meno inconscia dell’autore?
I racconti sono uno specchio dello stile di vita americano (quello, però, che sta all’opposto delle rappresentazioni delle soap opere televisive): divorzi, violenze, alcolismo, precarietà del lavoro e delle relazioni umane. È il rifiuto di questo mondo che porta qualche lettore a rifiutare Carver. In altri, davanti a tanta desolazione, c’è un disagio che però non preclude la comprensione dell’abilità dell’autore nel tratteggiare in poche pagine flash di crudo realismo (qualcuno paragona la prosa dello scrittore alla fotografia). Davanti alle situazioni descritte, viene posta una domanda: “Perché Carver sceglie questi temi?” Si suggerisce che una possibile risposta si può cercare nella prima parte della vita dello scrittore, segnata da un matrimonio fallito, da lavori precari, dall’alcolismo. C’è chi, nonostante i morti ammazzati, le malattie, gli incidenti e i rapporti desolanti, individua tra le storie principali sprazzi di umanità, espressione di sentimenti “positivi”: operazione, questa, che riesce meglio con l’ausilio del testo originale dei racconti, molto più disteso. Infatti il Carver minimalista, quello della scrittura asciutta e delle psicologie solo suggerite, potrebbe essere (almeno in parte) costruzione del suo editor, che tagliò drasticamente i racconti, fino a ridurre le pagine del 45-50%. L’operazione di sfrondatura ha portato in alcuni casi a quei finali “aperti” che coinvolgono il lettore e lo costringono a ripensare il racconto per tentare di capire “come va a finire”, dandogli così la consapevolezza che si tratta di un libro “che si legge bene”, cioè facilmente, solo in apparenza.
Viene anche avanzato il suggerimento di leggere i racconti come capitoli di un unico romanzo, dove non si ritrovano gli stessi personaggi, ma lo stesso tema, che può essere il diverso modo di vivere l’amore o di affrontare le pene della vita, magari scoprendo in qualche spunto distruttivo qualcosa che ci ha coinvolti o tentati personalmente.
Il libro, scritto negli anni ’70/'80, veniva letto in Italia come specchio di un mondo lontano, che oggi – invece – appare molto più vicino alla nostra esperienza.




Per un parallelo tra diverse forme espressive, qualcuno rimanda al film “America oggi” di Altman, tratto da Carver, e alla pittura realistica di Hopper, con le sue pompe da benzina, desolate tavole calde, bar di solitudine.
Avete opinioni diverse, osservazioni da aggiungere? Scrivete!


(a cura di Ivana Baraldi)

venerdì 10 dicembre 2010

Un libro, un film - verso 'Il mondo deve sapere' di Michela Murgia


Il mondo deve sapere - Romanzo tragicomico di una telefonista precaria è una commedia amara, condita con ironia feroce, sul lavoro precario che umilia e affama, ed è anche un atto d’accusa, un appello tra il sarcastico e il disperato: 'Precari di tutto il mondo unitevi!'.

Il mondo deve sapere è una sorta di diario che diverte e sgomenta («…ma io non ci credo figuriamoci se è vero…» direbbe Benigni a proposito dei disastri del nostro paese…) raccontando giorno dopo giorno un mese di lavoro in un call center dove ci si agita come forsennati, si mente senza colpa, e si fanno le scarpe ai colleghi per fissare appuntamenti telefonici, vendere aspirapolveri e turlupinare centinaia di casalinghe. Leggero, paradossale, visionario e militante (ricorda la Brunella Gasperini degli anni '70, ma la sua era una rivoluzione garbata d’altri tempi, lei non avrebbe mai usato 'cazzo' neanche 'eccheccazzo'! Che qui ce n’è parecchi).

Qualcuno lo ha definito 'un testo teologico' che svela i rituali segreti della più potente fede religiosa che esista al mondo (lo ha scritto Nicoletti su «La Stampa»). E a ben guardare i rituali blasfemi della setta religiosa ci sono tutti perché c’è la soggezione e la vergogna, oltre alla 'preghiera' collettiva del mattino, che ti fa sentire un tutt’uno con la grande famiglia, ti energizza, ti ricarica, ti convince che 'sei nel giusto' anche se manipolatore e bugiardo, che tutto puoi essere e sarai, se fedele alla missione Kirby (la multinazionale dell’aggeggio aspirapolvere igienizzatore lucidatore massaggiatore con brevetto della Nasa). Ma nel cerimoniale è previsto anche il peccato, se non raggiungi l’obiettivo, c’è la minaccia incombente della punizione ovvero il licenziamento, c’è l’espiazione o lo sberleffo plateale davanti ai colleghi e la redenzione se ce la metti tutta e ce la fai. Perché se credo in te e nel tuo dio tu ce la farai!! Farcela significa prendere una settantina di appuntamenti al mese anche se te ne saranno pagati forse meno della metà.

Diciamo che al di là della qualità letteraria del testo ci interessa il tema e ci interessa l’autrice, che è nata a Cabras in Sardegna, che a ragione detesta essere definita giovane scrittrice (ha 38 anni), e che dopo questo libro, diventato prima uno spettacolo teatrale e poi un film (Tutta la vita davanti diretto da Paolo Virzì) ha scritto il romanzo Accabadora e si è aggiudicata il premio Campiello. Poi ha aperto un sito molto 'politico', ha una rubrica fissa nella trasmissione Le Invasioni barbariche, fa parte del Coordinamento Teologhe Italiane e collabora con molti periodici.

Il libro ha il merito di diventare un luogo. Dal momento che siamo a corto di posti dove la gente incontra altra gente, siamo a corto di piazze e di sezioni di partito - dice la Murgia - facciamo diventare i libri luoghi. Può succedere che un libro generi una comunità, e che questa comunità crei relazioni tra chi si riconosce nel protagonista e che produca coscienza, scatti d’orgoglio, azione, cambiamento. Noi siamo d’accordo con lei.

Elena Bellei, conduttrice del GdL 'Un libro, un film'

lunedì 6 dicembre 2010

Il salotto del martedì - verso "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore", di Raymond Carver


C'è un racconto, tra quelli che compongono il libro di Raymond Carver Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore (1981), che apparentemente è la storia sconclusionata di una serie di scatti fotografici, ma rimanda certo a qualcos'altro, perché niente, in Carver, è esattamente quello che sembra.
Il titolo del racconto è Mirino. Il termine, che si riferisce sia all'obiettivo della macchina fotografica, sia a quello del fucile, sembra una giusta metafora per definire lo stile cosiddetto "minimalista", che isola alcuni particolari apparentemente insignificanti per caricarli di senso. Sono racconti, ma anche flash, che ti colpiscono come una fucilata, spesso alle spalle. Più che storie brevi, sono "fotografie narrative", crude istantanee che riprendono un'umanità sconfitta, vittima esemplare di un sogno americano ormai in dissoluzione. Sono storie scritte negli anni '80, eppure sembrano prevedere l'America (e anche l'Italia?) di oggi.
Ne ha parlato la vedova di Carver, Tess Gallagher, intervistata da Curzio Maltese nel giugno di quest'anno. Dice la Gallagher:"Lui si è occupato di gente che viveva sulla propria pelle lacerazioni fondamentali del tessuto sociale, come disoccupazione, alcoolismo, divorzio, debiti, tradimenti, la mancanza di un tetto e vari tipi di abbandono".
Storie perturbanti, racconti "senza trama e senza finale", secondo la lezione cechoviana? Sì, ma anche squarci di verità, improvvise rivelazioni per cui un cancello che sbatte suggerisce un'arcana minaccia, mentre la luce della luna, illuminando le cose di tutti i giorni, ne svela l'altra faccia.
E infine pagine spesso intrise di "pietas", di umana compassione. Sentite come si chiude il racconto che dà il titolo alla raccolta, dopo che i protagonisti hanno discusso a lungo sulle varie specie d'amore:"Sentivo il cuore che mi batteva. Sentivo il battito del cuore di ognuno. Sentivo il rumore umano che facevamo tutti, là seduti, senza muoverci, nemmeno quando la stanza diventò tutta buia".


Matilde Morotti, per il Gruppo di lettura “Il salotto del martedì”

venerdì 3 dicembre 2010

Leggere con Ugo Cornia - 1 dicembre 2010 - Centuria

I “cento piccoli romanzi fiume” di Manganelli si snodano attraverso le pagine, ponendo al lettore un interrogativo: vi è un criterio d'insieme che lega tra loro tutte le Centurie? O invece la ricerca di un criterio di questo tipo sarebbe una forzatura, un travisamento degli intenti letterari dell'autore?

I racconti che compongono Centuria invitano a una lettura a piccole dosi, non necessariamente nell'ordine di stampa; da questo punto di vista, ognuno di essi costituisce un'unità autonoma e indipendente. D'altra parte, vi sono alcuni concetti-chiave che ricorrono in tutto il libro. Questi concetti sono i temi fondamentali della tradizione filosofica: il rapporto tra amore e odio, il tempo e la morte, Dio e l'universo, la realtà e il sogno, la verità, la ricerca di sé. Il libro è quindi da considerarsi una raccolta di racconti filosofici?

Il modo in cui Manganelli affronta queste tematiche è però tutt'altro che convenzionale: esse vengono continuamente "scaravoltate"dalla comicità e dall'ironia dell'autore. I racconti di Centuria hanno quindi allo stesso tempo un aspetto filosofico e uno comico. La connessione tra i due aspetti non può che risiedere nell'immaginazione creativa dell'autore (e del lettore). Questa immaginazione si esprime nel linguaggio: nella ricercatezza del lessico, nell'articolazione del periodo, nella perfezione formale complessiva di ogni racconto.

La perfezione linguistica di Manganelli potrebbe essere indagata nei suoi risvolti più remoti: se e in che modo si connette con la personalità dell'autore, con la sua visione del mondo, con il suo contesto sociale e culturale. Ma è realmente necessario ricercare a queste profondità il significato ultimo della letteratura? In fondo, ogni libro è un'opera d'arte e in quanto tale ha un proprio valore intrinseco, a prescindere da una specifica interpretazione; in particolare, Centuria è “soltanto” una raccolta di racconti e il modo migliore di goderne è semplicemente leggerli. Un libro da leggere: una frase banale solo in apparenza.

lunedì 29 novembre 2010

Un libro, un film - 25 novembre 2010 - Il lungo addio

Il romanzo di Chandler è dominato dalla figura di Philip Marlowe. Da un lato, Marlowe può essere visto come la lente attraverso cui l'autore osserva e descrive la realtà dura e violenta della metropoli; d'altra parte, la personalità complessa di Marlowe è rappresentativa di un approccio a quella realtà apparentemente distaccato, ma in realtà completamente immerso entro di essa.

Le caratteristiche più evidenti della personalità di Marlowe sono la profonda solitudine e una visione cinica e disincantata della realtà sociale: «Tutto dipende dalla posizione in cui ci si trova, dagli interessi personali. Io non ne avevo alcuno. E me ne infischiavo». Questo carattere cinico non deve tuttavia essere banalizzato: Marlowe è dotato di una sensibilità profonda che il contesto sociale gli impedisce spesso di esibire. Questa sensibilità emerge talvolta nei rapporti interpersonali di Marlowe e si manifesta soprattutto nell'amicizia con Terry Lennox.

L'incontro casuale con Lennox interrompe la solitudine di Marlowe. Il rapporto tra i due presenta molti aspetti ambigui: l'amicizia scocca immediatamente, quasi come un colpo di fulmine, e si protrae in modo del tutto disinteressato. Dato il contesto, tutto ciò è sorprendente: Marlowe ammette infatti che «... non c'era ragione per cui dovessi rivederlo. Non era altro che un cane randagio ...». Il rapporto è inoltre “sbilanciato” dal lato di Marlowe, che inizialmente soccorre Lennox in difficoltà senza nemmeno conoscerlo e in seguito mantiene spesso un atteggiamento paternalista nei suoi confronti. La lealtà verso l'amico sopravvive anche al primo tradimento di Lennox, che sfrutta la fiducia di Marlowe per farsi portare a Tijuana senza rivelargli la morte violenta della moglie Sylvia, e al presunto suicidio dello stesso Lennox. Soltanto quando si consuma il secondo tradimento (la scoperta che la morte di Lennox era un'astuta macchinazione), Marlowe decide di interrompere definitivamente il rapporto. L'immagine finale del detective, fermo nella speranza di un ritorno dell'amico, pur conscio dell'assoluta vanità di questa speranza, lascia intendere come questo passo sia tutt'altro che indolore.

Oltre a Marlowe e Lennox, Chandler fornisce una descrizione psicologica raffinata di svariati personaggi che rivestono ruoli “periferici” all'interno del romanzo: tra gli altri, il maggiordomo Candy, l'editore Spencer, il tenente Ohls. Tra essi si staglia la figura di Linda Loring, che può essere vista come l'alter ego femminile di Marlowe: anche Linda ha un carattere cinico e disincantato, ben distante dalla personalità fragile ed eterea di altre donne come Eileen Wade. La comune disillusione verso il matrimonio riassume in modo emblematico la sintonia tra Marlowe e Linda.

Nella descrizione della società fornita da Chandler attraverso gli occhi di Marlowe, i luoghi comuni si miscelano e confondono: gli abitanti di Idle Valley, ricchi benestanti, vivono apparentemente in una valle paradisiaca, ma le loro vite, tormentate dall'alcol, non suggeriscono forse che quella valle sia in realtà una fossa infernale? Tutto ciò potrebbe essere interpretato come una sorta di critica sociale; essa dovrebbe però essere limitata a una descrizione del contesto. Gli incontri di Marlowe formano una ricca galleria di caratteri squilibrati; l'incapacità di gestire il proprio rapporto con l'alcol è soltanto il sintomo più evidente di tale squilibrio. Ciò che Chandler mette in evidenza è come tutti questi personaggi squilibrati trovino un loro equilibrio “naturale” all'interno del contesto sociale; proprio qui potrebbe trovarsi la radice profonda del disincanto di Marlowe.

giovedì 25 novembre 2010

Leggere con Ugo Cornia - verso "Centuria", di Giorgio Manganelli


Non so come si possa parlare di questo libro e della sua bellezza e stranezza. Un modo forse non sbagliato potrebbe essere quello di fare l’elenco parziale dei suoi vari personaggi. Che tipo di personaggi sono? C’è un signore di media cultura e costumi decorosi, un signore di buoni studi e umori moderatamente malinconici, il signore vestito di scuro dalla camminata attenta e pensosa che sa di essere inseguito, i signori che vengono a questa fermata ad attendere il treno e generalmente muoiono nell’attesa. C’è quel signore che attraversa Piazza Indipendenza e che regge tra le mani il capo che gli hanno appena mozzato, e che è un martire della fede, l’imperatore che giunge in Cornovaglia, un signore grasso, con barba, dal vestito un po’ sgualcito, che alle dieci e trenta del mattino si accorse di avere la facoltà di compiere miracoli, il fantasma che è annoiato, l’animale giglio, i dinosauri, una persona inesistente che abita un appartamento, il drago, il signore vestito di grigio che è un’allucinazione, un illustre fabbricante di campane, una fata del paese delle fate che un giorno sbagliò treno, il capitano del vascello fantasma, il grido, una voragine custode, una donna che ha partorito una sfera. Poi ce n’è tanti altri di personaggi che non elenco qui. La domanda conseguente è che tipo di azioni possono fare questi personaggi, per esempio una fata che ha sbagliato treno, oppure una voragine custode. Io questo libro l’ho letto e riletto tante volte, mi sembra la più bella serie mai scritta di biografie e momenti di vita di esseri piacevolmente inesistenti o originali, volevo dire marginali, ma marginali ha un senso negativo, e originale vorrei che venisse inteso come uno un po’ strambo, che di nascosto e dentro casa sua non è mai riuscito a imparare le regole del normale comportamento perché partecipa a un mondo mentale differente. A leggerlo non si smette mai di imparare qualcosa di importante, anche se non saprei precisare cosa. È un po’ come se quando stai guidando ti venisse in mente che da qualche parte, nella stessa città dove stai guidando, c’è un TIR invisibile che gira anche lui e chiunque può farci un frontale contro, nessuno sa come fare per evitarlo, ogni tanto qualcuno ci deve sbattere contro.

Ugo Cornia, conduttore del Gruppo di lettura "Leggere con Ugo Cornia"

venerdì 19 novembre 2010

Un libro, un film - verso 'Il lungo addio', di Raymond Chandler

Per quelli che amano i polizieschi d’azione, fatti di violenza, alcol, droga e dark ladies procacciatrici di sventure, i romanzi di Raymond Chandler fanno al caso loro.

Il linguaggio è quello spiccio ("cercai qualcosa da mettere sotto i denti… mandai giù un cocktail tutto d’un fiato… pensai che la cosa migliore fosse tagliare la corda…") e il protagonista, l’investigatore Philip Marlowe, è un duro, senza peli sulla lingua, ma a guardar bene intimamente etico e di buon cuore, reso cinico e sprezzante dal mondo sordido della metropoli.

Un sottobosco di personaggi dal sapore pulp, che spiazzano il lettore con barocchi colpi di scena, popolano gli spazi di Marlowe. Tipi che prendono la vita di petto, aggressivamente, che non hanno paura dei lati oscuri dell’esistenza e che Marlowe (Chandler) guarda con apparente distacco ma in verità scruta, soppesa, viviseziona con fine psicologia, fino a ricercarne i più umani 'perché' (il perché di tutto quell’alcol, il perché del potere corrotto, dei suicidi, dei tradimenti, dei delitti) e li rivela attraverso una sapiente semina di indizi e dialoghi brevi e brillanti.

Anche Il lungo addio, scritto nel '53, (in un momento estremamente triste della sua vita a causa della malattia incurabile dell'amatissima moglie, che morirà l'anno successivo) è una combinazione di questi ingredienti: raffinatezza stilistica, uno sguardo impassibile, probabile pretesto per una riflessione più ampia.

L’inizio: casualmente il detective Philip Marlowe si imbatte in Terry Lennox, personaggio un po’ inquietante, bevitore impenitente, che lavora nel mondo del cinema, marito di Sylvia, figlia di un miliardario. I due simpatizzano e si incontrano di tanto in tanto per bere un bicchiere. Un giorno Marlowe, assecondando il desiderio di Lennox che vuole andarsene, decide di accompagnarlo alla frontiera messicana, ma al suo ritorno una sorpresa lo aspetta. Sylvia è stata trovata morta ammazzata, Lennox è sospettato d’omicidio e Marlowe viene accusato di complicità e finisce in galera...("Avevo bisogno di fortuna... diavolo ne avevo bisogno a vagoni…"). Dunque l’amicizia è tradita. Lennox si è servito di lui. Il solitario Marlowe, convinto di avere trovato un amico, si deve ricredere.

Dopo escono dall’ombra altri personaggi, complicati intrecci parentali, interni alto borghesi, mogli infelici, scrittori dall'apparente successo ma umanamente falliti, il tutto costantemente annaffiato da fiumi di alcol.

Un libro sugli ideali infranti? Sui codici d’onore spezzati? Sul potere? Sulla solitudine e la corruzione metropolitana? Sugli inconsolabili addii? Provare a leggere... e farsi un’idea!

"La letteratura seria non esiste" diceva Chandler convinto dell’ utilità estetica delle sue storie. L’autore, uomo borghese, prodotto della middle class americana, cresciuto in Inghilterra, sposato con una modella bellissima, ex commercialista licenziato per problemi di alcol, era intenzionato con i suoi romanzi a creare un nuovo genere giallo, fatto di gusto fine, di trame di commedia, di sottofondi romantici, insomma un genere più vicino alla strada ma non basso come la strada. Il successo gli ha dato ragione.

Elena Bellei, conduttrice del GdL 'Un libro, un film'

mercoledì 17 novembre 2010

Il salotto del martedì - 9 novembre 2010 - La macchia umana

Philip Roth, La macchia umana, Einaudi.
Un romanzo illeggibile, che esalta la condotta di un personaggio immorale, il quale, incapace di accettare la propria condizione d’origine, vive una vita di bugie, di falsità, di maschere, di inganni?
Un altro romanzo maschilista, come tutti i romanzi di Philip Roth?
Una splendida tessitura di innumerevoli storie, sulla trama della storia di Coleman Silk?
Il dono di uno scrittore fertile e generoso?
Dove ci siamo collocati? contro Coleman e Faunia ? "abbiamo operato" per il loro esilio morale?
Oppure ci siamo affiancati a Zuckerman, il narratore, nella sua investigazione, calda di amicizia ed empatica, di una porzione di umanità che sta per gran parte di essa?
Piccolo campionario dei nostri sentieri di esplorazione dell’opera di Philip Roth, uno scrittore che favorisce domande più che risposte.
Tutti i personaggi di questo affresco americano custodiscono segreti, macchie segrete.
Perché Coleman, brillante professore, preside di facoltà attivo ed efficace, che è "nero", ma con tratti che possono farlo passare per "bianco", negli anni della segregazione sceglie di lasciarsi alle spalle le sue radici e di vivere la sua singolare rimozione? Perché Faunia, che ha vissuto perdite crudeli e violenze familiari, sceglie un profilo di vita senza qualità, nascondendo a tutti la propria cognizione del dolore? Perché Delphine Roux (in un certo senso l’antagonista di Coleman), brillante studiosa, esilia la sua giovinezza avida di vita in un’appartata università americana? Perché Les Farley, ex marito di Faunia, reduce della guerra del Vietnam, è perso irrimediabilmente in un orrore rabbioso, minaccioso, vendicativo? Ogni rivelazione dei loro segreti porta in sé il ragionevole dubbio che la verità non si possa mai cogliere pienamente, che non si possa costruire una storia di purificazione, una narrazione lustrale: … noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui…
Storie parallele, ciascuna nella propria singolarità, che diventano interessanti nel momento del "disastro", quando l’energia vitale che fa succedere le cose, la rabbia che difende, la seduzione che cattura, vengono giocate dal Caso.
Lo spirito del romanzo è spirito di complessità. Ogni romanzo dice al lettore: "Le cose sono più complicate di quanto tu pensi". Parola di Milan Kundera.

(a cura di Luisa Magnani)

[nella foto Philip Roth]

lunedì 15 novembre 2010

Leggere con Ugo Cornia - 3 novembre 2010 - La promessa

Primo incontro del gruppo e confronto a più voci su un giallo sui generis, che si dichiara fin dal sottotitolo (requiem per il romanzo giallo) e anticipa subito le conclusioni: “un fatto non può tornare come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande”.
Di seguito, una piccola cronaca in presa diretta dello scambio tra i lettori e il conduttore. Le conclusioni sono aperte e, dato il libro di cui si parla, non potrebbe che essere così.


Ugo Cornia, che non ama i gialli, l'ha letto una decina di volte, catturato da questa particolarità: diventa matto chi ha fatto l'ipotesi giusta, come se la follia fosse più 'coerente' della normalità. Un esperimento perfetto incappa in un'eccezione statisticamente irrilevante, sufficiente però a determinare la storia.

Non c'è tutta questa differenza tra killer e poliziotto, forse il secondo non è migliore del primo. Colpisce l'elemento ossessivo di tutto il libro, che relativizza bene e male (Rossana). Matthai, il poliziotto protagonista, giura una cosa che non riesce a fare e finisce ubriaco; l'ebbrezza cresce, e monta man mano che gli insuccessi si accumulano, in un parallelismo tra giuramento e ubriachezza (Fausto). Il narratore, comandante H., e Matthai sono servitori pubblici, che vivono in tempi pesanti simili agli attuali: “da quando gli uomini politici deludono in misura tanto grave … la gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo”. Se pensiamo che il romanzo è stato pubblicato nel 1958, anche il tema del reato sessuale a danno di una adolescente è una formidabile anticipazione di realtà (Grazia).

C'è differenza se una frase come questa frase la dice uno svizzero o un italiano. In un saggio politico (Gorbacev e Havel: le ragioni della speranza, 1991) Dürrenmatt fa un discorso sulla Svizzera e le galere, per concludere che in Svizzera non ce n'è bisogno perché la Svizzera è una galera da sempre. L'austriaco Thomas Bernhard fa discorsi non dissimili. Nel mondo tedesco la sfiducia nei partiti, anche quelli di sinistra, è vent'anni in anticipo rispetto all'Italia (UC).

E' un romanzo che, senza l'ambientazione svizzera, perderebbe connotazione. Montalbano non sarebbe impazzito, semplicemente perché non si sarebbe mai aspettato una soluzione 'perfetta' (Mirella). E' una riscrittura 'svizzera' di Cappuccetto rosso: il bosco, il cestino.... (UC). La verità ti acceca, come in Edipo.... Si sente tutta la tragedia, e la solitudine, di chi cerca la verità (Irene).

La promessa non è fondamentale, il racconto potrebbe funzionare anche senza, eppure gli dà il titolo.... Tutto è irrazionale, a cominciare dalla promessa di una cosa impossibile. Del giallo ha solo la struttura, ma in realtà è un romanzo filosofico. L'assurdità della vita e la sua imprevedibilità vanificano ogni illusione di razionalità (Enrico). Quanto a questo, potrebbe anche intitolarsi L'incidente in automobile.... Là dove i rapporti tra persone sono così disemotivi, una promessa conta. Dürrenmatt è contemporaneamente figlio e padre di un pastore, ha un'idea teologica di verità, male e delinquenza: la si coglie anche in altri testi, Il giudice e il suo boia, Il pensionato (UC). Va da sé che ogni promessa è un atto di fede. Questo non è un giallo classico, perché nessuno è davvero innocente. La promessa è un debito, un'idea di salvezza, ma c'è un qualche posto per gli eroi sulla terra? E' il romanzo di un moralista. Quello che Matthiae vuol cancellare è il dolore di quei genitori, il dolore del mondo. E' un perdente, ma complesso e sfaccettato come tutti i personaggi contemporanei, che non sono mai tutti buoni, tutti cattivi, tutti innocenti (Luisa). C'entra la Svizzera e la sua cultura, c'entra l'esperimento, ma la promessa non torna, c'è una cesura strana, che non spiega l'abbrutimento che segue. La vecchia che muore è terribilmente mediocre (Nadia). Colpisce come descrive il mondo dei poliziotti: logica e dettaglio. Mentre invece 'il caso' è trattato con frettolosità, tirato via, quasi estraneo al resto del romanzo. Sembrano quasi due mani diverse (Marta). E' un libro fatto di scatole cinesi, un giallo dentro il giallo e allo stesso tempo una riflessione sul giallo: un requiem, perché il giallo semplifica una realtà molto più complessa. (Cecilia). Mi ha colpito la scena dei bambini all'aereoporto, che dà forza e motivo alla promessa. Da lì muove uno scatto di passione, anche se è crudele che il bene sia beffato dalla verità. Il bene può anche non pagare (Alessandra). Il ruolo del caso in tutta la storia è ironico (Mariella), o forse tragico (Alessandra).

Il giallo è un genere edulcorante rispetto alla morte, che ha sempre una spiegazione, una ragione profondamente umana. Il giallo dà delle risposte, è consolatorio. Ma è un'ironia che non fa ridere, perché nella realtà si muore lo stesso, anche se non c'è nessuno che ti ammazza (UC).
Questo romanzo anticipa la discussione tra giallo e noir, tra legge e giustizia. Mentre il giallo spiega ed è consolatorio, il noir lo è molto meno (Emilio).

L'idea di Dürrenmatt è che il mondo è irrimediabile. La realtà è quel che è e, se provi a migliorarla, peggiora. I romanzi non danno messaggi di fondo in senso chiaro, se no sarebbero saggi. C'è un richiamo, voluto, al personaggio Von Gunten di Walser, un'ironia sotto traccia che rende ogni cosa incerta (UC).
Nel personaggio della vecchia colgo un simbolo della decadenza borghese. La fine di un potere raramente è eroica. Questi personaggi piccolo-borghesi non sono tanto mostruosi quanto 'finiti' (Grazia). L'espressione più grande del cinismo è che il male viene rappresentato come una favola, alla fine della bambina uccisa ti interessa poco (Alessia). Matthai non è cinico, è 'sperimentale'. Non è simpatico, ma ci si affeziona, perché il suo estro scientifico è il cuore della storia (UC).

Alla fine, il gruppo si divide sull'ultimo capitolo: c'è chi ne avrebbe fatto a meno, e chi avrebbe preferito un finale diverso.

Ma non sarebbe stato lo stesso libro. Matthai non è Don Chisciotte, che scambia i mulini a vento per giganti. Qui c'è la particella x o y, che ti aspetteresti qui o lì, e che va da tutt'altra parte. La verità non si presenta mai dove dovrebbe essere, e questo slittamento così contemporaneo dei piani non ci sarebbe senza l'ultimo capitolo (UC).

lunedì 8 novembre 2010

Un libro, un film - 28 ottobre 2010 - Lo straniero


Come nel libro - trasposizione in letteratura dell’esperienza filosofica di Camus - anche durante la discussione teniamo distinte le due parti che compongono Lo straniero. Suddivisione che si rivela indispensabile per chiarire la personalità del protagonista, Meursault.

Ma chi è Meursault? Un uomo insensibile o sensibile fino all'eccesso? Una figura positiva o negativa? Un individuo infantile o talmente maturo da avere trasceso le velleità umane?

Nella prima parte tutto sembra scivolargli addosso, tanto che la morte della madre è una seccatura da liquidare in fretta. Oltre a non voler vedere nemmeno la salma, oltre a provare insofferenza per il caldo soffocante anziché commozione durante il funerale, non si pone alcun dubbio morale nell’andare a fare il bagno con Marie il giorno successivo alle esequie.

L'impressione dominante è che Meursault si lasci vivere. La sua esistenza vagamente irresponsabile, apparentemente senza valori o punti fermi che ne puntellino le scelte, in qualche modo infastidisce.

 Meursault non prova emozioni, ma sensazioni forti: è ipersensibile al sole, al calore, ai rumori, agli odori. La poesia e la sensibilità, per lui, sono tutte racchiuse in una fisicità estrema, in un mondo fatto di percezioni in cui i sensi prevalgono su tutto, come per i bambini. La sua umanità è tutta incentrata sul 'qui e ora'. Privo di memoria, di spessore, è tutto preso nell'immediato. Non è in grado di pensare al futuro - non ha alcun sussulto all'idea di trasferirsi a Parigi come gli propone il capo-ufficio -, così come non trae conforto dalle esperienze del passato. Privo di interiorità, senza sovrastrutture, appare come un essere appartenente non alla società umana, ma al mondo naturale. È pre-morale, aperto a tutte le possibilità: non sa scegliere, ma si fa scegliere, con modalità, ancora una volta, non dissimili da quelle dei bambini. Non è in grado di gestire la libertà, in particolare quando essa significhi entrare in contrasto con altri esseri umani.

Ma il mondo dell'infanzia morale, così a lungo conservata, finisce con «quattro colpi secchi [battuti] sulla porta della sventura», gli spari che uccidono un uomo e conducono Meursault ad una nuova fase della vita. Così termina, in maniera drastica, anche la prima parte del libro.

Con il processo, Meursault sembra iniziare a prendere coscienza di sé. Finalmente, non senza una certa soddisfazione da parte del lettore, comincia ad avere un'identità definita, non più evanescente e tutta sensoriale, come era stata per metà del libro.

Eppure, non è così chiaro se Meursault subisca realmente un’evoluzione o, al contrario, resti immutabile in un contesto, all’opposto, variato. Forse, davvero tangibile è solo un maggior grado di consapevolezza di sé del protagonista: quando Meursault entra in cella, pur rimanendo uguale e coerente con se stesso, diviene cosciente delle proprie peculiarità di essere umano, pur così diverso dagli altri esseri umani.

Questa consapevolezza, sembra accompagnare Meursault ad una certa felicità, quella di chi incontra e abbraccia la dolce indifferenza del mondo. Meursault sa che tutte le vite si equivalgono; che non esiste merito; che non c'è bene né male. Egli si dissolve nel mondo perché ne condivide la medesima indifferenza per gli uomini e le loro convenzioni sociali, impersonate alternativamente dal giudice o dal prete.

La coscienza dell’assurdità del vivere consente a Meursault di raggiungere uno stato di accettazione della morte imminente, una condizione di preparazione che può essere accostata alla readiness di Amleto.

Ecco che, alla luce della seconda parte, è possibile rileggere i comportamenti di Meursault nella prima. La sua indifferenza assume un nuovo significato: non è dunque la noncuranza di chi non ha interesse nel mondo, ma l’imperturbabilità di chi ha già sofferto e, in qualche modo, sublimato.

Parimenti, il rapporto con la madre, insignificante nella prima parte, rivive durante la sua prigionia, in vari flash back in cui riemerge il passato. Diviene palese come Meursault amasse la madre non solo di un amore filiale, ma di una stima ormai adulta: ne apprezzava il forte istinto di sopravvivenza e ribellione che l'aveva portata a ricominciare, a trovarsi un fidanzato, a vivere. Il rifiuto di vedere la madre morta non è più quindi un elemento negativo in assoluto, ma l’ennesimo segno di coerenza a favore della negazione dell’ipocrisia. La stessa coerenza in nome della quale non approfitta di nessuna delle attenuanti che lo potrebbero salvare in tribunale, o non sconfessa nessuno degli atteggiamenti criticati durante il processo. Meursault è quindi estraneo, straniero a tutto ciò che si palesa come convenzione ipocrita.

Infine, il titolo del libro pone l’accento sulla totale mancanza della dimensione storico-geografica, visto che l’ambientazione manca completamente di riferimenti al mondo arabo e alle tensioni politiche che Visconti avrebbe voluto sottolineare nella sua trasposizione cinematografica.

martedì 2 novembre 2010

Il salotto del martedì - verso "La macchia umana", di Philip Roth

Quando daranno il Nobel a Philip Roth? I lettori se lo chiedono da tempo, affascinati da questo scrittore statunitense di origini ebraiche, autore di vasti affreschi come i romanzi che costituiscono la cosiddetta “trilogia americana”: Pastorale americana (premio Pulitzer 1997), Ho sposato un comunista e, infine, La macchia umana (2000).
Il protagonista di quest'ultimo romanzo, Coleman Silk, ha costruito la sua vita su una menzogna e la porta avanti con così feroce determinazione da rompere i ponti con la sua stessa madre. Nessuno, nel campus in cui per quasi quarant'anni è stato professore e preside di facoltà, può immaginare il suo segreto, la macchia che, come tutti, Coleman si porta addosso e che ne segna l'indecifrabile destino.
Questo è uno dei “fili” che percorrono il libro: ogni vita umana è un abisso e la verità che ci riguarda è infinita. “Per quanto il mondo sia pieno di gente che va in giro credendo di conoscerti, di conoscere te o il tuo vicino, l'ignoto è davvero senza fondo”.
E figurarsi cosa succede se, a queste persone che credono di conoscerti, sembra di scoprire un piccolo scandalo che ti riguarda, che rovescia l'immagine che finora si sono fatti di te. Questo capita: a Coleman, del tutto innocente, sfugge una parola insidiosa che, interpretata maliziosamente, porta nella sua vita il disordine, il caos, la barbarie. Il destino che l'eroe (possiamo davvero definirlo così) si era forgiato, sbarazzandosi delle proprie origini e inventando la propria vita, cade a pezzi, distrutto dal falso perbenismo e dall'ipocrisia. Il tutto sullo sfondo dell'America bigotta dello scandalo Lewinsky, quando il segreto di Clinton venne a galla suscitando un'orgia di moralismo e di meschinità.
Ma il caos contiene in sé un elemento di chiarificazione, in quanto questo momento terribile della vita di Coleman si rivela infine come l'ultima possibilità di confrontarsi con la verità dell'esistenza. Ciò avviene grazie all'incontro con la femminilità violata, trasgressiva e alla fine salvifica di Faunia, che riporta il vecchio professore in contatto con la parte più dionisiaca di sé. È “l'ultimo amore”(esplicito il richiamo a Morte a Venezia), l'ultima possibilità di abbandonarsi alla turbolenza e all'intensità della vita.
È quasi impossibile render conto della molteplicità di messaggi, di piani di lettura, di storie e personaggi che anima questo libro densissimo. Ai temi accennati se ne affiancano molti altri, tutti condensati in una figura emblematica, dalla disperazione dei reduci dal Vietnam, rappresentata dal marito di Faunia, alle difficoltà d'apprendimento dei piccoli dislessici, allievi della figlia di Coleman.
Il tutto, per di più, filtrato attraverso lo sguardo dell'io narrante, che ancora una volta è l'alter ego di Roth, Nathan Zuckerman: questo complica ulteriormente il punto di vista, offrendoci l'autore come personaggio.
La macchia umana ci offre contemporaneamente un'immagine credibile di un determinato periodo storico e uno scandaglio gettato sulle profondità dell'animo umano, universale come la tragedia greca che il professor Coleman conosce così bene.


Matilde Morotti, gruppo di lettura "Il salotto del martedì"

venerdì 29 ottobre 2010

Il film che non si trova. 'Lo straniero'. Regia di Luchino Visconti, Italia 1967. Interpreti Marcello Mastroianni e Anna Karina


La versione italiana di questo film è irreperibile in VHS/DVD.

Le vicende che ne hanno segnato la produzione possono spiegare, anche se solo in parte, il suo destino, questa sorta di damnatio memoriae.

Subito dopo l’improvvisa scomparsa di Camus e sull’onda del rinnovato interesse per il romanzo, Dino De Laurentis ne acquistò i diritti cinematografici ma, nel contratto Francine Camus, vedova dello scrittore, si garantì la scelta del regista e il controllo costante sul lavoro di adattamento, anche attraverso un collaboratore di sua fiducia. Per i ruoli dei protagonisti  Visconti pensò inizialmente ad Alain Delon e a Claudia Cardinale ma poi – troppo giovane lui e troppo bella lei -  furono scelti Marcello Mastroianni e  Anna Karina.

Furono necessarie sei diverse stesure dello script prima di arrivare al copione definitivo,  nel novembre del 1966. La vedova Camus insistette per una riduzione assolutamente fedele al testo e pretese che fossero eliminati tutti i riferimenti anche larvati alle tensioni sociali e razziali dell’Algeria del periodo.  Mortificò in questo modo l’idea originaria di Visconti che avrebbe voluto rileggere la storia di Meursault alla luce dell’evoluzione storica dei fatti d’Algeria e  sottolineare il valore simbolico dell’arabo ucciso e del suo gesto.
Il 1° dicembre 1966 iniziarono le riprese jn francese, ad  Algeri;  la stagione particolarmente fredda e piovosa impedì di girare la scena dell’omicidio, che fu realizzata in giugno a Sperlonga, sul litorale tirreno.

Dopo l’approvazione di Francine Camus, il 6 settembre 1967 il film fu presentato ufficialmente in concorso alla 28° mostra del cinema a Venezia, in versione italiana con, tra gli altri, Edipo Re di Pasolini e Belle de Jour di Buňuel che vinse il Leone d’Oro. Fra il 14 ottobre 1967 (rappresentazione in prima nazionale a Roma)  e la fine del 1968 il film fu proiettato in Italia e nelle principali capitali europee. Inizialmente Visconti difese il suo film contro le critiche più severe sottolineando le affinità profonde che lo legavano allo scrittore francese:

“Se Camus fosse ancora vivo, insieme noi avremmo modificato l’aspetto di Meursault. Questo non è sicuro. Ma la morte li ha resi entrambi intangibili. E’ per questo che io ho rispettato, ho cercato anche l’autenticità nei minimi dettagli … ma che mi hanno aiutato a ritrovare il clima  in cui l’opera è stata creata, portandomi così alla sua realtà più profonda…Ho più affinità che non si creda con Meursault. Lo stesso disprezzo per una certa forma di stupidità di alcuni uomini, di quella stupidità involontaria, in ogni caso inconsapevole, che li conduce ad ogni sorta di vigliaccherie e di tirannie. La sua rivolta per un’esistenza passiva e solitaria è cionondimeno una rivolta contro i tabù eretti dalla religione e una società ipocrita” .

Negli anni successivi però tradì più volte la volontà di prendere le distanze da quest’opera, fino a rimuoverla definitivamente. A causa del veto di Francine Camus, Visconti non aveva potuto realizzare l’interpretazione moderna che ancora esiste nella prima sceneggiatura, scritta con la collaborazione di Georges Conchon.

 “Lo straniero ora è l’illustrazione di un libro e non c’è la mia vera partecipazione come c’è negli altri miei film, anche nel senso di un’interpretazione della realtà. Quindi, Lo straniero più che un figlio nato male è un figlio nato con delle limitazioni … l’autore di un’opera cinematografica è l’autore di un’opera a sé... La pagina scritta è solo un punto di partenza. Ed è un non-senso chiedere a un regista di film una fedeltà assoluta a un testo letterario”.

Ricorda Suso Cecchi D’Amico:

 “ Lo straniero non l’abbiamo mai riguardato con Luchino. Quand’era malato, ha voluto rivedere in videocassetta tutti i suoi film, tranne Ludwig che non voleva vedere affatto perché era mutilato; Lo straniero era come dimenticato”.

[Tratto da:  Leonardo De Franceschi, Il film Lo straniero di L. Visconti. Dalla pagina allo schermo, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema 1999]

A cura di Rita Borghi

 

martedì 26 ottobre 2010

Leggere con Ugo Cornia - verso "La promessa. Un requiem per il romanzo giallo", di Friedrich Dürrenmatt

È molto difficile parlare del romanzo La promessa senza rovinarlo. Per non rovinarne il meccanismo, posso dire soltanto poche cose e prenderle un po’ per traverso. Se possiamo dire che Dürrenmatt abbia spesso scritto delle strane cose filosofiche, che spesso, ma non sempre, hanno preso la forma del giallo, nel caso della Promessa, che porta il suggestivo sottotitolo di Un requiem per il romanzo giallo, io credo che il fenomenale ispettore Matthai rappresenti più o meno la capacità di pensare della nostra testa, forse sarebbe meglio dire la capacità di pensare in modo logico e scientifico, e questa testa che ragiona in modo logico scientifico ha sempre davanti a sé il mondo, e addirittura sta anche sempre a bagno nel mondo. Ora, il destino di Matthai, che deve a tutti i costi risolvere un crimine, perché l’ha promesso (da qui il titolo dell’opera) è più o meno quello di una testa, o di una coscienza (in senso classico) o di un soggetto che stia in mezzo al mondo e a tutto quello che ci succede dentro e cerchi di controllarlo in modo logico scientifico, ne succedono sempre delle belle e il mondo non è intelligente, può addirittura essere stupido, o casuale, o eccetera eccetera. Ma il mondo è sempre qualcosa di molto di più dei nostri pensieri e delle nostre ipotesi anche quando è semplicemente stupido…


Ugo Cornia, conduttore del gruppo di lettura "Leggere con Ugo Cornia" della biblioteca Delfini.

lunedì 18 ottobre 2010

Un libro, un film - verso "Lo straniero", di Albert Camus

Lo Straniero di Albert Camus

Un omaggio all’autore a 50 anni dalla morte.

Ciò che si dice per ogni artista autentico, ovvero che per esplorarne la biografia e la poetica bisogna partire dalle origini, vale per Albert Camus ancora di più.

Lo ha detto lui stesso tra le righe dei suoi testi nel corso della sua vita breve, l’hanno scritto i critici che si sono occupati di lui negli anni.

Nato in Algeria, figlio di coloni francesi, orfano di padre (morto a causa di una ferita alla testa nella battaglia della Marna), ragazzino curioso dall’infanzia povera (quella miseria che ti fa mangiare patate e ti manda scalzo), innamorato della luce e della notte algerina, incoraggiato dalla potenza e dal mistero del sole, Camus lega indissolibilmente la sua storia personale ai fatti collettivi e sociali.

In una intervista a “Revue de Lettres modernes” lo scrittore dice: “non ho imparato la libertà da Marx… L’ho imparata dalla miseria. Nessuno intorno a me sapeva leggere. Pensate cosa significhi una cosa simile”.

In Saggi Letterari, in Italia edito da Bompiani, leggiamo: “la povertà non è mai stata una disgrazia per me: la luce vi spandeva le sue ricchezze… Persino le mie rivolte ne sono state illuminate”.

In perenne contrasto con gli intellettuali francesi e con il partito comunista, nel quale da prima si riconosce e da cui poi si allontana con forti contrasti, Camus è definito un esistenzialista ateo e privilegia e affronta i temi della solitudine degli umani di fronte al mondo, della finitezza, della precarietà del vivere, dell’assurdo dell’esistere. Ma rispondendo a Jean Paul Sartre, al quale rimproverava di cristallizzare l’esistenza attorno alla tragicità della vita, scrive: “constatare l’assurdità della vita non può essere un fine ma soltanto un inizio”. Gli interessa dunque il senso dell’esistere (col mondo, con la natura) e pubblica pagine di vera e propria esaltazione della vita, negandone però i vincoli sociali.

Potremmo ricercare le tracce del suo pensiero nel libro considerato il suo capolavoro, Lo straniero, che si mostra al primo impatto come una sorta di diario, un resoconto di fatti quotidiani esposti in maniera particolareggiata, per poi variare di forma e di natura via via che procede nella narrazione, che si fa intimista e profonda.

La storia comincia con un telegramma che annuncia al protagonista, Meursault, giovane impiegato di Algeri, la morte della madre ricoverata in un ospizio. Seguiamo il protagonista nel suo viaggio verso l’ultimo saluto alla madre in un caldo soffocante e lo vediamo, assonnato e indifferente, nella notte di veglia. Meursault ci appare come un uomo senza doglie.

Il giorno dopo la morte della madre lo trascorre in compagnia di Marie, allo Stabilimento Bagni del porto e poi a letto, e trascina un’ intera domenica in una sequenza di gesti che si direbbero vuoti di significato (“Quando mi sono svegliato, Maria era già uscita… Mi è venuto in mente che era domenica e questo mi ha dato noia: la domenica non mi piace”), ma che possono al contrario suggerire altre verità. Come un alone di afa stagnante la sua indifferenza pare debba coprire ogni cosa: la proposta di Marie di sposarlo e l’offerta del datore di lavoro di un trasferimento a Parigi. Fino a che l’amico Raymond lo sveglia dal torpore della sua esistenza abitudinaria con una proposta di complicità. Raymond vuole vendicarsi con la sua donna (una giovane araba), scrivendole una lettera per attirarla in una trappola e riempirla di botte. Sarà Meursault a scrivere la lettera per conto dell’amico (nemmeno troppo amico per la verità) e ad accettare di testimoniare in sua difesa, seppur senza nessun coinvolgimento emotivo né etico.

In una domenica passata al mare sotto un sole spietato in compagnia di amici, tra cui Raymond, matura l’assurdo gesto di Meursault. Durante la passeggiata sulla spiaggia, un gruppo di arabi li segue e il fratello della donna offesa mostra un coltello. L’autore scrive “…la luce ha balenato sull’acciaio e fu come una lunga lama scintillante che mi colpisse alla fronte… E’ allora che tutto è vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella… E furono come quattro colpi secchi che battevano sulla porta della mia sventura”.

La seconda parte del romanzo è la storia del processo, al quale il protagonista assiste come un estraneo (“Persino da un banco d’imputato è sempre interessante sentir parlare di sé”), e dell’ attesa dell’esecuzione nella cella dei condannati a morte, dopo la rinuncia alla domanda di grazia, senza la consolazione del cappellano, rifiutato per tre volte. Nel momento in cui la società lo priva della libertà e lo mette sotto accusa per il suo delitto e per il suo comportamento il nostro eroe è lo Straniero, oltre il confine tracciato dalla legge e dalla salvezza divina dunque senza speranza.

Chi è dunque Meursault, un volgare assassino, un folle, un ribelle, un martire della verità? Che significato ha il suo gesto? Che significato hanno le sue ultime parole? “Rumori di campagna giungevano fino a me. Odori di notte di terra e di sale rinfrescavano le mie tempie. La pace meravigliosa di quella estate assopita entrava in me come una marea”.

Elena Bellei, conduttrice del GdL 'Un libro un film'

venerdì 8 ottobre 2010

Il salotto del martedì - 5 ottobre 2010 - Malamore


Il libro ha suscitato interesse, tanto più che in questi giorni l'opinione pubblica è stata scossa da terribili episodi di violenza sulle donne. Certo, la cronaca parla (vedi il delitto di Novi) di un intreccio perverso tra prepotenza maschile e gabbie culturali che cercano di soffocare il tentativo delle donne straniere d'integrarsi in un mondo “altro”; il libro della De Gregorio, invece, analizza soprattutto un tipo di violenza borghese che si accanisce sulle figlie del femminismo, quelle che hanno magari studiato all'estero ed esercitano professioni interessanti e ben remunerate.
Perché gli uomini uccidono? Perché esercitano un tipo di violenza più sottile, meno visibile, che però uccide l'anima? E, soprattutto, perché le donne non si ribellano?
La risposta di Malamore è, in parte, contenuta simbolicamente nella favola della topolina che, a un certo punto (e lì ci siamo fermati a ricordare quel momento che, nella vita di tutti, segna l'inizio dell'età delle seduzione) si mette un bel fiocco rosa e va alla ricerca del suo compagno. Ma che sposo si va a scegliere la topolina presuntuosa? Proprio quello che la mangerà: un gatto. Convinta, la sciocchina, che lei riuscirà a redimerlo, a farne l'unico gatto che mangia verdure.
Uno dei fili rossi che percorrono questo “collage” di storie, per certi versi un po' disomogeneo (a qualcuno ha ricordato i libri della Schelotto ) è l'idea che esista un “programma segreto”, per cui molte scelgono, e tornano a scegliere, proprio chi le umilierà, le farà sentire inferiori, le mangerà.
È come se in queste persone agisse un'idea grandiosa di sé, una vanità che le porta all'autodistruzione: in fondo, la solita idea del masochismo femminile, su cui si potrebbe anche non essere d'accordo.
Quelle che tutti ci siamo sentiti di sottoscrivere sono le pagine riservate alla “mala educacion”, che tante madri riservano ai figli maschi. Se vogliamo estirpare la mala pianta della prevaricazione maschile dobbiamo tutti, uomini e donne, passare a queste nuove generazioni che ci sembrano così fragili una parola chiave semplice ed universale: responsabilità.
Ci lasciamo ripromettendoci di leggere o rileggere un libro cui fa cenno anche Adriano Sofri, parlando di Novi in un articolo apparso su Repubblica, La sonata a Kreutzer, di Tolstoj (che non ammazzò la moglie, però lo scrisse).
[a cura di Matilde Morotti]

giovedì 30 settembre 2010

Si parte - Ecco i libri


Il primo a partire sarà il gruppo di lettura "Il salotto del Martedì", organizzato e gestito dall'Università per la libera età Natalia Ginburg. Iscrizioni presso l'associazione.

Ecco i libri e le date:
- 5 ottobre 2010, Concita De Gregorio, Malamore, Mondadori 2008
- 9 novembre 2010, Philip Roth, La macchia umana, Einaudi 2001
- 14 dicembre 2010, Raymond Carver, Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore, Minimum Fax 2001
- 11 gennaio 2011, Ian Mc Ewan, Chesil Beach, Einaudi 2007
- 15 febbraio 2011, Doris Lessing, Il diario di Jane Somers
- 15 marzo 2011, Josè Saramago, Cecità, Feltrinelli 2010
- 12 aprile 2011, Alicia Jimenes Bartlett, Giorni d'amore e d'inganno, Sellerio 2008
- 10 maggio 2011, Arawind Adiga, La tigre bianca, Einaudi 2008


Seguirà il gruppo "Un libro un film", condotto da Elena Bellei.
Iscrizioni dal 2 al 12 ottobre, scrivendo a gdldelfini@comune.modena.it o telefonando al n. 050 2032940.
In questo caso solo il primo libro è stato deciso, ed è Lo straniero di Albert Camus, che verrà commentato dal gruppo il 28 ottobre 2010, alle ore 17.30.
Alle 15 dello stesso giorno è prevista anche la proiezione dell'omonimo film di Luchino Visconti.
I successivi sei libri che sono diventati film saranno scelti dagli iscritti al gruppo in una rosa di 25 titoli, e precisamente:

1. L'amante di Marguerite Duras. Feltrinelli, 1985
il film: L'amante, regia di Jean-Jacques Annaud, 1992
2. L'amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez, Oscar Mondadori, 2007
il film: L'amore ai tempi del colera, regia di Mike Newell, 2008
3. Bonjour tristesse di Françoise Sagan, TEA, 1989
il film: Bonjour tristesse, regia di Otto Preminger, 1958
4. L'isola di Arturo di Elsa Morante, Einaudi, 2007
il film: L'isola di Arturo, regia di Damiano Damiani, 1962
5. Il profumo di Patrick Suskind, TEA, 2007
il film: Profumo : storia di un assassino, regia di Tom Tykwer, 2006
6. Amabili resti di Alice Sebold, E/O, 2002
il film: Amabili resti, regia di Peter Jackson, 2009
7. Le relazioni pericolose di P.A.F. Choderlos de Laclos, Feltrinelli, 2007
il film: Le relazioni pericolose, regia di Stephen Frears, 1988
8. L'età dell'innocenza di Edith Wharton, BUR, 2008
il film: L'età dell'innocenza, regia di Martin Scorsese, 1993
9. Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, Einaudi, 1994
il film: Quel che resta del giorno, regia di James Ivory, 1993
10. Il mondo deve sapere : romanzo tragicomico di una telefonista precaria di Michela Murgia, isbn, 2006
il film: Tutta la vita davanti, regia di Paolo Virzì, 2008
11. Washington square di Henry James, BUR, 1998
il film: L'ereditiera, regia di William Wyler, 1949
12. Il lungo addio di Raymond Chandler, Feltrinelli, 1989
il film: Il lungo addio, regia di Robert Altman 1973
13. Le notti bianche di Fedor Dostoevskij, Mondadori, 1993
il film: Le notti bianche regia di Luchino Visconti, 1957
14. Tess dei d'Urberville di Thomas Hardy, BUR, 2002
il film: Tess, regia di Roman Polanski, 1979
15. L'amico americano di Patricia Highsmith, Bompiani, 2001
il film: L'amico americano, regia di Wim Wenders, 1977
16. Lolita di Vladimir Nabokov, Adelphi, 1993
il film: Lolita, regia di Stanley Kubrick, 1962
17. Il postino di Neruda di Antonio Skármeta, Garzanti, 1993
il film: Il postino, regia di Michael Radford, in collaborazione con Massimo Troisi, 1994
18. La fiera della vanità di William M. Thackeray , BUR, 2007
il film: Vanity fair, regia di Mira Nair, 2004
19. Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, Feltrinelli, 1994
Il film: Il fu Mattia Pascal, regia di Marcel L'Herbier, 1925
20. Espiazione di Ian McEwan, Einaudi, 2002.
il film: Espiazione, regia di Joe Wright, 2007
21. La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, Mondadori, 2008
il film: La solitudine dei numeri primi, regia di Saverio Costanzo, 2010
22. Il viaggio di Felicia di William Trevor , Guanda, 1995
il film: Il viaggio di Felicia, regia di Atom Egoyan, 1999
23. Il processo di Franz Kafka, Einaudi, 2005
il film: Il processo, regia di Orson Welles, 1962
24. Lo spazio bianco di Valeria Parrella, Einaudi, 2008
il film: Lo spazio bianco, regia di di Francesca Comencini, 2009
25. Nemico, amico, amante... di Alice Munro, Einaudi, 2003 (racconto: The bear came over the mountain)
il film: Lontano da lei, regia di Sarah Polley, 2006

I sei libri scelti saranno letti nelle seguenti date (sempre giovedì, ore 17.30): 25 novembre e 16 dicembre 2010, 27 gennaio, 24 febbraio, 24 marzo e 28 aprile 2011, sempre preceduti, alle 15, dalla proiezione del film.
Infine il terzo gruppo di lettura, "Leggere con Ugo Cornia".
Iscrizioni dal 2 al 12 ottobre, scrivendo a gdldelfini@comune.modena.it o telefonando al n. 059 2032940.
I primi cinque libri sono già stati decisi dal conduttore; gli altri due saranno decisi in seguito.
Ecco dunque il calendario e i titoli:
3 novembre 2010: Friedrich Dürrenmatt, La promessa. Un requiem per il romanzo giallo, Feltrinelli 2003
1 dicembre 2010: Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Adelphi 1995
5 gennaio 2011: Patrick Ourednik, Europeana. Breve storia del XX secolo, :duepunti 2005
2 febbraio 2011: Raffaello Baldini, La fondazione, testo romagnolo a fronte, Einaudi 2008 o, dello stesso autore, Carta canta - Zitti tutti - In fondo a destra, Einaudi (Collezione di teatro), 1998 (la scelta definitiva sarà comunicata con un anticipo sufficiente a procurarsi il libro e leggerlo)
2 marzo 2011: Thomas Bernhard, La cantina. Una via di scampo, Adelphi 1994
30 marzo 2011: libro da decidere...
20 aprile 2011: libro da decidere...

giovedì 23 settembre 2010

Il salotto del martedì - verso "Malamore", di Concita De Gregorio


Concita De Gregorio, Malamore. Esercizi di resistenza al dolore, Mondadori 2008

Un libro sull'amore e sul dolore, questo di Concita De Gregorio, che affronta un tema di grande attualità: la violenza sulle donne e il nodo inestricabile che lega vittima e carnefice.
Quante volte abbiamo letto, quest'estate, di delitti compiuti da "ex": ex mariti, ex fidanzati, ex uomini che riversano sulle compagne il rancoroso senso d'impotenza e le frustrazione per aver perso qualcosa che credevano di possedere per sempre. Commossi ed indignati, abbiamo ascoltato le parole dell'esperto di turno e, in genere, abbiamo tacitato l'inquietudine facendo ricorso alla categoria interpretativa del "raptus" improvviso, inspiegabile, frutto del caso o di una patologia mentale indecifrata.
Questo libro va alla radice del problema e pone alcuni interrogativi cui vengono date risposte interessanti. Come mai donne che hanno studiato, indipendenti, professionalmente realizzate, le figlie del femminismo e della rivoluzione sociale, come mai queste donne sono disposte a sopportare? Che cosa c'è nella testa delle donne, che le porta ad avere confidenza col dolore e a fare della propria vita un capolavoro di pazienza? Perché qualcuna ama così poco se stessa e così tanto un uomo che la fa soffrire? Qual è il prezzo che tutte pagano per avere indipendenza e libertà?
A queste domande Concita de Gregorio risponde raccogliendo le storie di donne famose o comuni, dal celebre soprano alla dodicenne costretta alla prostituzione, dalla compagna di Picasso all'operaia cui i datori di lavoro fanno firmare le dimissioni in bianco, arma consueta contro la pretesa femminile di diventare madre rispettando i propri tempi e non quelli dell'azienda.
Il filo rosso che lega queste storie è individuato dall'autrice nell'introduzione: "C'è una consapevolezza della debolezza maschile, una presunta forza femminile che si esercita nel tollerare le sopraffazione... C'è un eccesso di considerazione di sé: io sarò capace di aspettare, di controllare, di gestire la tua ira perché ne conosco l'origine".
Una presunzione, un'illusione che può costare la vita.


(presentazione a cura di Matilde Morotti; l'incontro del Gruppo di lettura "Il salotto del martedì" dedicato al libro di Concita De Gregorio, e riservato agli iscritti all'Università per la libera età Natalia Ginzburg, si svolgerà martedì 5 ottobre alle ore 16 nella sala corsi della biblioteca Delfini. Info http://www.universitaginzburg-mo.net/)

mercoledì 15 settembre 2010

Un libro un film - Il ghostwriter, di Robert Harris

Robert Harris, Il Ghostwriter, Mondadori 2010

È questa la domanda che faccio cento volte durante un'intervista. "Che cosa ha provato"? E quasi mai i miei clienti sono in grado di rispondere, per questo si sono rivolti a me, perché tiri fuori le loro memorie: tanto che al termine di ogni felice collaborazione io sono più loro di loro. È un fenomeno che mi piace, devo ammetterlo, mi piace la breve libertà di poter essere qualcun altro. Vi sembra raccapricciante? Aggiungo allora che è indispensabile una certa maestria: io non mi limito a estrarre dai miei clienti la loro vita ma do fisionamia a certe vite spesso invisibili, e a volte fornisco loro una vita che non si erano nemmeno resi conto di avere. Se non è arte questa...


Chi parla è il ghostwriter protagonista del libro di Robert Harris, incaricato di lavorare alle memorie di Adam Lang, ex primo ministro britannico, dopo che il precedente ghostwriter Michael McAra è morto in circostanze misteriose. E ogni capitolo del libro si apre con una citazione tratta da un manuale del ghostwriter: Ghostwriting, di Andrew Crofts.
Una per tutte: "Capita con una certa frequenza, se lo stai aiutando a scrivere le sue memorie o l'autobiografia, che il soggetto si sciolga in lacrime mentre ti racconta la sua storia... In circostanze del genere il tuo compito sarà quello di passargli i fazzolettini di carta, tacere e continuare a registrare".

Dello "scrittore fantasma" non sappiamo nemmeno il nome (almeno io non ricordo di averlo trovato nelle trecento pagine del romanzo); sappiamo però che - dopo tante biografie di personaggi più o meno importanti - stavolta rischia di trovarsi coinvolto in vicende più grandi di lui, che hanno a che fare con il clima post 11 settembre e con domande pesanti sugli strumenti più o meno leciti utilizzati da Lang per la guerra al terrorismo.

Il luogo super blindato dove Adam Lang, la moglie Ruth, la segretaria Amelia e il resto del loro entourage sono ospitati dall'editore Martin Rhinehart, disposto a pagare per quella biografia dieci milioni di dollari a condizione che arrivi in libreria al più presto e che non si risparmino colpi sulla guerra al terrorismo, è l'isola di Martha's Vineyard, in uno scenario invernale non privo di un suo algido fascino.

Grigio e bianco erano i colori dominanti: mare grigio, cielo bianco, grigie le tegole sui tetti, bianche le assi delle pareti, bianche le aste da bandiera spoglie, grigio-celeste e grigio-verde il colore del vecchio pontile sul quale se ne stavano appollaiati gabbiani grigio-bianchi... Perfino il sole... aveva il buon gusto di emettere una pallida luce bianca.

Questi colori si ritrovano anche nel film di Roman Polanski. In una atmosfera che sembra sospesa e fuori dal mondo, il ghostwriter deve, in poche settimane, ricavare dalla monumentale prima versione della biografia, scritta da McAra con grande precisione nella documentazione ma ben pochi spunti creativi appassionanti, un libro in grado di catturare l'attenzione del pubblico.

La tentazione del ghostwriter è buttare tutto e ricominciare da capo, perché il lavoro di McAra gli sembra solo un noiosissimo accumulo di cronache, documenti, rapporti. Nel corso della storia si capirà però che dentro quel libro si nasconde forse il mistero sia della morte di McAra che della controversa biografia di Lang.

Per questa versione cinematografica, sicuramente raffinata, è stato evocato anche il nome di Hitchcock. Peccato per il titolo tradotto, un po' fuorviante: non si tratta tanto di un uomo nell'ombra, ma di uno "scrittore-ombra".

http://www.mymovies.it/film/2010/luomonellombra/trailer/

giovedì 2 settembre 2010

Un libro un film - Julie & Julia di Julie Powell

Se si volesse prendere posizione nella infinita – e spesso sterile – querelle sul rapporto tra cinema e letteratura, il libro Julie & Julia (Rizzoli, 2009), è indubbiamente migliore del film (regia di Nora Ephron, 2009), nonostante la divertente interpretazione di Meryl Streep nel ruolo di Julia Child, la arcinota – quanto pressoché sconosciuta in Italia – chef che ha insegnato agli Stati Uniti le gioie della cucina francese, sia tramite i ricettari, sia attraverso la televisione.

Pur nella consapevolezza che, anche partendo dallo stesso contenuto, due linguaggi diversi danno vita a testi spesso non paragonabili, con Julie & Julia, non si può non ammettere la superiorità del libro, che pure non è un capolavoro, ma un buon compagno in ore oziose e magari assolate.

Per prima cosa, la figura di Julia Child, sorta di Gualtiero Marchesi d'oltreoceano, nel libro non è così ingombrante come nel film, dove, con modi così schietti da essere quasi irritanti, è veramente la co-protagonista insieme a Julie Powell, l'autrice. Nel volume, invece, Julia Child si limita ad essere l'ispiratrice del progetto di Julie, la cui unica aspirazione, nonché ossessione, nei successivi 365 giorni sarà la realizzazione delle 524 ricette raccolte nell'Arte della cucina francese. Oltre alla spesa, a caccia di ingredienti non sempre di facile reperibilità, le ore passate tra cipolle e interiora di animali vari, i lunghi momenti alle prese con la pulizia di montagne di pentole, il progetto Julie/Julia prevede anche la redazione di resoconti giornalieri in un blog, con l'autrice nei panni di una novella Samuel Pepys del villaggio globale.

Sempre nel libro, le vicende biografiche di Julia Child non occupano più di un paio di pagine all'inizio di ogni capitolo. Nel film, invece, la «gigantessa dall'esuberanza fastidiosa, ma stranamente attraente» ruba davvero la scena alla docile Julie Powell, tratteggiata più come una dolce e sconfortata post-adolescente, piuttosto che come la nevrotica, irriverente, strampalata, un po' alcolista, ma tanto simpatica trentenne, alle prese con i primi bilanci esistenziali, che si impara a conoscere nel libro.

Il romanzo, in realtà, è a tratti spassoso, in particolar modo nel delineare le perplessità di una massaia moderna alle prese con i sensi di colpa per la morte crudelissima inflitta a disgraziate aragoste, tranciate o lessate ancora vive – sensi di colpa che peraltro la protagonista sostituisce in fretta con una sorta di eccitazione da serial killer – o le difficoltà nell'estrarre, a regola d'arte, il midollo da ossobuchi occhieggianti, per ricavarne traballante gelatina.

Ma la progressiva incursione di Julie nel raffinato mondo della cucina francese rappresenta, a dire il vero, un avanzamento nella coscienza di sé, nella lucidità di giudizio sulla propria situazione di segretaria-trentenne-sposata-senzafigli, nella consapevolezza da cui partire per mettere in atto il cambiamento necessario per non soccombere di fronte alle frustrazioni della vita.

E il libro stesso non è altro che il risultato di tale cambiamento, résumé degli articoli postati dall'autrice nel suo blog personale e punto di partenza per una nuova vita fatta di passioni reali e non di odiati lavori volti alla sopravvivenza. Il tutto condito da parolacce non sempre indispensabili, ma di certo capaci di dare colore ad un testo in cui non si rinuncia a digressioni sul paralellismo tra cibo e sesso, arrivando alla conclusione che «il fegato di vitello è il cibo più sexy del mondo». C'è persino spazio per ricordare – senza retorica, solo un pizzico di cinismo – l'11 settembre.

Buona lettura insomma o, ancora meglio, «Bon appétit!» come avrebbe detto Julia Child.