Un omaggio all’autore a 50 anni dalla morte.
Ciò che si dice per ogni artista autentico, ovvero che per esplorarne la biografia e la poetica bisogna partire dalle origini, vale per Albert Camus ancora di più.
Lo ha detto lui stesso tra le righe dei suoi testi nel corso della sua vita breve, l’hanno scritto i critici che si sono occupati di lui negli anni.
Nato in Algeria, figlio di coloni francesi, orfano di padre (morto a causa di una ferita alla testa nella battaglia della Marna), ragazzino curioso dall’infanzia povera (quella miseria che ti fa mangiare patate e ti manda scalzo), innamorato della luce e della notte algerina, incoraggiato dalla potenza e dal mistero del sole, Camus lega indissolibilmente la sua storia personale ai fatti collettivi e sociali.
In una intervista a “Revue de Lettres modernes” lo scrittore dice: “non ho imparato la libertà da Marx… L’ho imparata dalla miseria. Nessuno intorno a me sapeva leggere. Pensate cosa significhi una cosa simile”.
In Saggi Letterari, in Italia edito da Bompiani, leggiamo: “la povertà non è mai stata una disgrazia per me: la luce vi spandeva le sue ricchezze… Persino le mie rivolte ne sono state illuminate”.
In perenne contrasto con gli intellettuali francesi e con il partito comunista, nel quale da prima si riconosce e da cui poi si allontana con forti contrasti, Camus è definito un esistenzialista ateo e privilegia e affronta i temi della solitudine degli umani di fronte al mondo, della finitezza, della precarietà del vivere, dell’assurdo dell’esistere. Ma rispondendo a Jean Paul Sartre, al quale rimproverava di cristallizzare l’esistenza attorno alla tragicità della vita, scrive: “constatare l’assurdità della vita non può essere un fine ma soltanto un inizio”. Gli interessa dunque il senso dell’esistere (col mondo, con la natura) e pubblica pagine di vera e propria esaltazione della vita, negandone però i vincoli sociali.
Potremmo ricercare le tracce del suo pensiero nel libro considerato il suo capolavoro, Lo straniero, che si mostra al primo impatto come una sorta di diario, un resoconto di fatti quotidiani esposti in maniera particolareggiata, per poi variare di forma e di natura via via che procede nella narrazione, che si fa intimista e profonda.
La storia comincia con un telegramma che annuncia al protagonista, Meursault, giovane impiegato di Algeri, la morte della madre ricoverata in un ospizio. Seguiamo il protagonista nel suo viaggio verso l’ultimo saluto alla madre in un caldo soffocante e lo vediamo, assonnato e indifferente, nella notte di veglia. Meursault ci appare come un uomo senza doglie.
Il giorno dopo la morte della madre lo trascorre in compagnia di Marie, allo Stabilimento Bagni del porto e poi a letto, e trascina un’ intera domenica in una sequenza di gesti che si direbbero vuoti di significato (“Quando mi sono svegliato, Maria era già uscita… Mi è venuto in mente che era domenica e questo mi ha dato noia: la domenica non mi piace”), ma che possono al contrario suggerire altre verità. Come un alone di afa stagnante la sua indifferenza pare debba coprire ogni cosa: la proposta di Marie di sposarlo e l’offerta del datore di lavoro di un trasferimento a Parigi. Fino a che l’amico Raymond lo sveglia dal torpore della sua esistenza abitudinaria con una proposta di complicità. Raymond vuole vendicarsi con la sua donna (una giovane araba), scrivendole una lettera per attirarla in una trappola e riempirla di botte. Sarà Meursault a scrivere la lettera per conto dell’amico (nemmeno troppo amico per la verità) e ad accettare di testimoniare in sua difesa, seppur senza nessun coinvolgimento emotivo né etico.
In una domenica passata al mare sotto un sole spietato in compagnia di amici, tra cui Raymond, matura l’assurdo gesto di Meursault. Durante la passeggiata sulla spiaggia, un gruppo di arabi li segue e il fratello della donna offesa mostra un coltello. L’autore scrive “…la luce ha balenato sull’acciaio e fu come una lunga lama scintillante che mi colpisse alla fronte… E’ allora che tutto è vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella… E furono come quattro colpi secchi che battevano sulla porta della mia sventura”.
La seconda parte del romanzo è la storia del processo, al quale il protagonista assiste come un estraneo (“Persino da un banco d’imputato è sempre interessante sentir parlare di sé”), e dell’ attesa dell’esecuzione nella cella dei condannati a morte, dopo la rinuncia alla domanda di grazia, senza la consolazione del cappellano, rifiutato per tre volte. Nel momento in cui la società lo priva della libertà e lo mette sotto accusa per il suo delitto e per il suo comportamento il nostro eroe è lo Straniero, oltre il confine tracciato dalla legge e dalla salvezza divina dunque senza speranza.
Chi è dunque Meursault, un volgare assassino, un folle, un ribelle, un martire della verità? Che significato ha il suo gesto? Che significato hanno le sue ultime parole? “Rumori di campagna giungevano fino a me. Odori di notte di terra e di sale rinfrescavano le mie tempie. La pace meravigliosa di quella estate assopita entrava in me come una marea”.
Elena Bellei, conduttrice del GdL 'Un libro un film'
Albert Camus, a cui venne riconosciuto di essere uno scrittore engagé, ci fornisce con “Lo straniero” un caso emblematico di “désengagé”.
RispondiEliminaMa il Mersault dalle deboli abilità relazionali sul piano dell’empatia, della responsabilità può rivelarsi anche il portavoce acutissimo della vita in ciò che ha di più misterioso e sensuale. Solo che l’amore chiaroveggente per la vita Mersault lo cela in sé in una condizione solipsistica di solitario, non solidale. Così che la sua
eccessiva dipendenza, se non vera e propria sottomissione, alla sfera sensoriale e al principio del piacere, ad un dato momento –come in una resa dei conti dai toni epici,fatali- gli rivela e gli rivolta contro il rovescio della medaglia, che assume tutta l’aria di una porta che pesantemente si chiude su un paradiso perduto.
Sappiamo che il periodo successivo della creatività di Camus è incentrato sull’etica della rivolta, dell’impegno per la causa degli oppressi: “…
c'è la bellezza e ci sono gli umiliati. Qualunque difficoltà presenti l'impresa, non vorrei mai essere infedele né ai secondi né alla prima”.
Ciò a riprova che c’è qualcosa che va conservato de “Lo straniero” e qualcosa che deve essere necessariamente superato se si vuole accedere ad un livello di coscienza superiore, critica, e di piena dignità umana. Se opere come “L’uomo in rivolta”, e il ciclo del “pensiero meridiano” dischiuderanno una strada maestra in antitesi alle varie forme di nichilismo e totalitarismo, accanto a questo rimarrà l’essenziale adesione lirica di Mersault che anche nel buio della sua prigione sente la presenza di “una certa ora in cui mi avveniva di sentirmi contento”
e di “vie familiari tracciate nei cieli d’estate”.