lunedì 5 novembre 2012
Sotto lo stesso tetto - 27 ottobre 2012 - Lettera al padre, Franz Kafka
A
chi più, a chi meno, un fatto è certo: i rapporti familiari e i
conflitti che prima o poi ne derivano coinvolgono tutti,
indipendentemente dall’età, sesso, nazionalità, religione,
estrazione sociale, epoca o paese in cui si vive. La lettura
dell’opera Lettera
al padre
scritta dal celebre autore boemo di lingua tedesca, Franz Kafka
(Praga 1883 – Kierling 1924), ci porta al cuore del difficile e
irrisolto rapporto tra padri e figli, in un labirinto di accuse e
controaccuse, di fraintendimenti e incomprensioni, di rimproveri e
rancori mai superati.
Ma
il testo di Kafka è l’espressione di un’esperienza autentica,
drammaticamente vera o una rappresentazione letteraria ben riuscita?
È possibile leggere questo testo in chiave ironica o solo
drammatica? Cesare Giacobazzi, docente di lingua e letteratura
tedesca all’Università di Modena e conduttore del primo degli
incontri di lettura Sotto
lo stesso
tetto,
ha
suggerito diverse possibilità interpretative dell’opera, che sono
state espresse poi a voce con la lettura di alcuni brani da parte di
Lino Guanciale, attore della compagnia del Ratto
d’Europa. Già
dalle prime righe la lettera di Kafka appare come un tentativo del
figlio di spiegare le ragioni del proprio fallimento esistenziale, di
non essersi sposato, di non aver creato lui stesso una famiglia che
gli avrebbe consentito di emanciparsi dalla figura paterna. Kafka
individua le cause di questo insuccesso personale e familiare nei
metodi educativi troppo rigidi e severi di un padre che non ha saputo
dominare il proprio carattere e avvicinarsi con sincerità e affetto
ai suoi figli. A prova di ciò Kafka ricorda in particolare un
episodio della prima infanzia in cui l’atteggiamento di rifiuto e
repressione da parte del padre sarebbe stato determinante e decisivo
per la formazione del suo carattere debole e pauroso. Le successive
esperienze di inesistente confronto e dialogo, di mancato sostegno e
ascolto avrebbero rafforzato in lui il sentimento di insicurezza e
soffocato ogni possibilità di distacco impedendogli di assumere un
ruolo attivo nella vita. Siamo di fronte a un figlio davvero
traumatizzato o a un parassita che vive sulle spalle del padre?
Ammesso
che si tratti di una testimonianza reale, drammatica e sofferta, di
chi sarebbe la colpa, del padre o del figlio? E se invece Franz non
fosse altro che un figlio viziato, non abituato a prendersi la
responsabilità delle proprie azioni e comportamenti? E quale invece
è il ruolo della madre nelle vicende familiari? Gli interrogativi
relativi a questa lettera, scritta nel 1919 e mai consegnata al
padre, sembrano essere molteplici e di non facile risposta. Alle
varie proposte e suggerimenti di lettura hanno corrisposto i commenti
e gli interventi di un pubblico profondamente interessato e coinvolto
nonché diversificato per età e approcci interpretativi.
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