venerdì 30 novembre 2012


Sotto lo stesso tetto – 24 novembre – La strega di mezzogiorno, Julia Franck
Dialogare con una strega per un’ora al giorno è l’unico rimedio per curare quell’incessante tormento dell’anima che induce Selma Würsich a vivere un’esistenza solitaria e a estraniarsi psicologicamente ed emotivamente dal marito e dalle figlie Martha e Helene. A sostenerlo è  la domestica Mariechen, una donna di origine slava che accudisce la madre e le figlie. Siamo all’inizio del Novecento nella Germania orientale, più precisamente nell'alta Lusazia, una regione della Sassonia. Sono proprio le parole di Mariechen a suggerire a Matteo Galli, il conduttore del secondo incontro letterario Sotto lo stesso tetto, l’interpretazione del titolo dell’opera da lui stesso tradotta: Strega appunto e non Donna di mezzogiorno come invece sarebbe il titolo originale. Questo sconfinare dell’essere umano nell’irrazionalità e nel pregiudizio sembra essere alla base della storia familiare raccontata dall’autrice Julia Franck.
Che spiegazione dare a certi comportamenti familiari? Come giustificare l’atteggiamento di Selma nei confronti delle figlie da cui sin dalla tenera età pretende solo obbedienza, disciplina e massimo impegno? Può essere un insieme di circostanze – la perdita dei figli maschi, la guerra, l’appartenenza a una religione diversa – la causa degli scompensi emotivi della madre? Martha e Helene non sanno dare una spiegazione razionale ai misteri della vita, ma cercano piuttosto di cogliere le opportunità concrete che essa offre quando la zia Fanny, una cugina della madre, le invita a trascorrere un lungo periodo a Berlino. Il trasferimento nella capitale, nei ruggenti anni Venti, segna l’inizio di una fase più spensierata e stimolante della loro esistenza sebbene non priva di preoccupazioni e difficoltà.
L’incontro casuale con Carl, un giovane e promettente studioso di filosofia, infonderà in Helene un sentimento di profonda felicità facendole credere per un istante che la vita stia volgendo al meglio. Ma la prospettiva di una vita migliore, animata da valori e progetti comuni, svanirà con la morte improvvisa di Carl, vittima di un tragico incidente stradale. Da quel momento in poi l’esistenza di Helene non sarà altro che un sopravvivere senza senso proprio come i pazienti che assiste presso un ospedale della città. La condizione di Helene, in parte ebrea, si aggraverà in seguito all'affermarsi del nazionalsocialismo che imporrà leggi antisemite. Se vorrà sopravvivere dovrà scomparire, fingersi ciò che non è. A quel punto, come per un soccorso provvidenziale, entrerà in scena l’ingegnere ariano Wilhelm che alla bionda Helene dagli occhi azzurri offrirà il ruolo di moglie e un nome, Alice Sehmisch.      
Ma Alice è soltanto una maschera innocente di Helene, già contaminata da altri. Quando Wilhelm nella prima notte di matrimonio scopre che Alice non è più vergine scatta in lui la voglia feroce di vendetta. Alice/Helene diventa ai suoi occhi un essere impuro, subordinato e sottomesso a cui è consentito solo obbedire. Da questo rapporto infelice nascerà un bambino, Peter, che successivamente, alla fine della seconda guerra mondiale, Alice/Helene, in fuga da Stettino occupata dai Sovietici, abbandonerà in una stazione ferroviaria. 
Cosa porta Alice/Helene a compiere un gesto così estremo? Un atto di autopreservazione, un desiderio di libertà o una scelta di amore per un figlio a cui non può dare ciò di cui ha bisogno? Il suo comportamento non è forse congenito alla sua famiglia di origine, iscritto in quel complesso patrimonio genetico che Helene porta con sé? 
Le risposte sono da ricercarsi in un intricato gioco di riflessioni che la Franck così sapientemente ci propone in questo affascinante libro vincitore del prestigioso premio Deutscher Buchpreis. 
 

martedì 13 novembre 2012

Il salotto del martedì - 6 novembre 2012 - Vergogna, J. M. Coetzee

Libro complesso nella sua apparente semplicità espressiva, questo Vergogna di J. M. Coetzee (Einaudi 2000), sudafricano che scrive in inglese, vincitore nel 2003 del Nobel per la letteratura.
La storia, all'inizio, è un po' banale: ci viene presentato il professor Lurie, titolare di una cattedra di Scienze delle comunicazione nella razionalizzata Cape Technical University. Gli lasciano tenere, quasi per benigna concessione, un corso all'anno sui suoi prediletti poeti romantici, ma è evidente la sua sfasatura culturale rispetto agli studenti e a tutto il mondo che lo circonda, cioè il nuovo Sudafrica post apartheid.
David Lurie ha superato la cinquantina ed è un uomo senza emozioni; reduce da una vita che lo ha deluso, anche sul piano sentimentale (è due volte divorziato), ha trovato un suo equilibrio nei tranquilli rapporti con una prostituta e si è adattato ad una “felicità” senza echi.
Su quest'uomo senza qualità piomba improvvisamente la disgrazia, sotto forma di sconvolgente impulso erotico verso una ragazzina neanche tanto speciale: una studentessa qualunque (ci chiediamo se sia nera, come il nome Melanie potrebbe lasciar indovinare).
Qualcuno osserva che il titolo originale, tradotto in italiano con Vergogna, è in realtà, significativamente, Disgrace, il che allude allo stato di disgrazia collegato alla catena colpa-vergogna-pentimento-espiazione-redenzione.
J. M. Coetzee
Dunque David commette una colpa di natura sessuale, avendo abusato di una ragazza che potrebbe essere sua figlia; in realtà non è stato un vero e proprio stupro, ma di certo il professore più anziano ha usato in modo improprio del suo potere maschile-paterno. Di questo, però, non si pente e non chiede scusa, finché una nuova e molto più grave violenza non manda in pezzi la sua vita. Rifugiatosi presso la figlia Lucy, una specie di hippy che alleva cani in una fattoria, David deve subire l'assalto di tre uomini (il gruppo etnico di appartenenza non è mai detto esplicitamente, in Coetzee) che stuprano la ragazza e gli danno fuoco. Da quel momento, David scende sempre più in basso nella scala sociale; ora è lui l' “uomo dei cani”, in una specie di nemesi storica che, rovesciando i rapporti bianco-nero, pone le basi per un nuovo mondo tutto da ricreare. Nella rigenerazione del protagonista, che in effetti alla fine del libro è un uomo completamente diverso dall'inizio, sembra avere un ruolo importantissimo la pietas verso gli animali destinati alla morte.
Con un amore in cui alcuni di noi non riescono a non sentire echi quasi francescani, David accompagna al loro destino, confortandoli, i “fratelli cani:” i vecchi, i ciechi, gli zoppi, gli storpi, i mutilati...”.
Ci interroghiamo a lungo sul senso del romanzo, soprattutto sulla “colpa” di David e sui motivi per cui Lucy, che scopriamo essere incinta in seguito alla violenza, tace e non denuncia gli aggressori. Ci sembrano illuminanti le parole della ragazza al padre, che le chiede se vuole già bene al bambino, “figlio di questa terra”. “Al bambino? No. Come potrei. Ma gliene vorrò... intendo diventare una brava mamma, David. Una brava mamma e una brava persona”. Forse Lucy vuole contribuire al difficile processo di riconciliazione, che in Sudafrica porta con sé strascichi di violenza, incomprensione, vendetta. Ecco perché non denuncia gli aggressori; e anche perché ama incondizionatamente quel luogo e quella vita e vuole viver proprio lì, a qualunque prezzo.
Una delle ultime scene ce la presenta inaspettatamente bella come in un quadro impressionista, una giovane madre baciata dal sole, tra i fiori, le api, i colori e i profumi di una terra antichissima e appena nata.
Si potrebbe discutere quasi all'infinito, tanti sono i temi, dal rapporto campagna-città alla paternità, alla storia, alla creazione artistica, all'eutanasia. Ci lasciamo con l'impressione di aver affrontato un testo duro, ma significativo come pochi.

Matilde Morotti

lunedì 5 novembre 2012

Sotto lo stesso tetto - 27 ottobre 2012 - Lettera al padre, Franz Kafka

A chi più, a chi meno, un fatto è certo: i rapporti familiari e i conflitti che prima o poi ne derivano coinvolgono tutti, indipendentemente dall’età, sesso, nazionalità, religione, estrazione sociale, epoca o paese in cui si vive. La lettura dell’opera Lettera al padre scritta dal celebre autore boemo di lingua tedesca, Franz Kafka (Praga 1883 – Kierling 1924), ci porta al cuore del difficile e irrisolto rapporto tra padri e figli, in un labirinto di accuse e controaccuse, di fraintendimenti e incomprensioni, di rimproveri e rancori mai superati.
Ma il testo di Kafka è l’espressione di un’esperienza autentica, drammaticamente vera o una rappresentazione letteraria ben riuscita? È possibile leggere questo testo in chiave ironica o solo drammatica? Cesare Giacobazzi, docente di lingua e letteratura tedesca all’Università di Modena e conduttore del primo degli incontri di lettura Sotto lo stesso tetto, ha suggerito diverse possibilità interpretative dell’opera, che sono state espresse poi a voce con la lettura di alcuni brani da parte di Lino Guanciale, attore della compagnia del Ratto d’Europa. Già dalle prime righe la lettera di Kafka appare come un tentativo del figlio di spiegare le ragioni del proprio fallimento esistenziale, di non essersi sposato, di non aver creato lui stesso una famiglia che gli avrebbe consentito di emanciparsi dalla figura paterna. Kafka individua le cause di questo insuccesso personale e familiare nei metodi educativi troppo rigidi e severi di un padre che non ha saputo dominare il proprio carattere e avvicinarsi con sincerità e affetto ai suoi figli. A prova di ciò Kafka ricorda in particolare un episodio della prima infanzia in cui l’atteggiamento di rifiuto e repressione da parte del padre sarebbe stato determinante e decisivo per la formazione del suo carattere debole e pauroso. Le successive esperienze di inesistente confronto e dialogo, di mancato sostegno e ascolto avrebbero rafforzato in lui il sentimento di insicurezza e soffocato ogni possibilità di distacco impedendogli di assumere un ruolo attivo nella vita. Siamo di fronte a un figlio davvero traumatizzato o a un parassita che vive sulle spalle del padre?
Ammesso che si tratti di una testimonianza reale, drammatica e sofferta, di chi sarebbe la colpa, del padre o del figlio? E se invece Franz non fosse altro che un figlio viziato, non abituato a prendersi la responsabilità delle proprie azioni e comportamenti? E quale invece è il ruolo della madre nelle vicende familiari? Gli interrogativi relativi a questa lettera, scritta nel 1919 e mai consegnata al padre, sembrano essere molteplici e di non facile risposta. Alle varie proposte e suggerimenti di lettura hanno corrisposto i commenti e gli interventi di un pubblico profondamente interessato e coinvolto nonché diversificato per età e approcci interpretativi.




lunedì 8 ottobre 2012

Il salotto del martedì - 2 ottobre 2012 - Il mondo di Atene, di Luciano Canfora

Luciano Canfora, Il mondo di Atene, Laterza 2011


Approfittando dei tempi più lunghi e rilassati, garantiti dalle ferie roventi di quest'estate, alcuni di noi hanno affrontato un testo molto impegnativo, Il mondo di Atene, di Luciano Canfora.
L'autore è noto: un filologo classico, professore a Bari, celebre sia per il rigore con cui padroneggia il mare sterminato delle sue fonti, sia per la vis polemica con cui di tanto in tanto anima il dibattito pubblico italiano. Ora, se c'è un argomento che in questi mesi è stato al centro delle nostre discussioni, questo è il destino della Grecia, e con esso una serie di concetti variamente interpretabili, da uno svuotamento della democrazia attraverso una sovranità limitata fino al ruolo delle competenze e al predominio delle élites tecnocratiche. Insomma, mai come oggi ci si è interrogati su quale sia la vera natura della democrazia.
Luciano Canfora, con questo libro, dà alla questione un taglio originale e stimolante, smontando i miti sorti attorno a questo sistema politico e alle sue origini storiche.
Si parte dal luogo comune che (sulla base del celebre epitaffio di Pericle) fa di Atene la culla della democrazia, scuola della Grecia e di tutto il mondo. Ma quale democrazia? In realtà i cittadini ateniesi, escludendo le donne, gli stranieri e gli schiavi, erano 20.000 su 350.000; tutti, tra l'altro, parassiti stipendiati dallo stato, che campavano a spese del tributo versato dagli alleati. Come diceva Max Weber, la democrazia ateniese altro non era che una gilda che si spartiva il bottino. Quindi quello che stato così idealizzato era un sistema basato sul controllo imperialistico delle altre città, punite in modo crudelissimo se per caso venivano meno ai doveri dell'alleanza, come dimostra il terribile episodio della strage dei Melii.
Luciano Canfora
E poi l'ostracismo, il controllo della cultura, la condanna a morte di Socrate: come si fa a parlare di libertà? Eppure Canfora riesce, in questa sua appassionata rievocazione del secolo breve che va dal 480 al 399 a. C. a dimostrare che il mito della democrazia ateniese ha una sua validità storica oggettiva e costituisce un esempio fecondo anche per società più complesse.
La nostra discussione verte dunque sul paradosso di questa città, in cui la democrazia e l'impero riuscirono a convivere. Tenendo sempre presente l'abisso che intercorre tra una democrazia diretta come quella ateniese e i nostri sistemi rappresentativi, ci siamo chiesti quanto di quell'antica esperienza serva ancor oggi a chiarirci le problematiche odierne. Anche oggi, nota qualcuno, ha un ruolo centrale l'esaltazione della competenza e questo ci ricorda che ad Atene, nel V° secolo, si verificò questo miracolo: era ben salda al comando un'élite, ma essa accettò la sfida del confronto quotidiano con l'assemblea e, non sottraendosi alla fatica di cercare e costruire il consenso, gettò le basi di un modello politico destinato a durare nei millenni. 

Matilde Morotti 

martedì 2 ottobre 2012

Gruppi di lettura 2012-2013

Due i gruppi di lettura ospitati quest'anno dalla Biblioteca Delfini: "Sotto lo stesso tetto. La famiglia nella letteratura tedesca contemporanea" e il "Salotto del martedì".


Il primo è organizzato in collaborazione con l'Associazione culturale italo-tedesca. Il gruppo si riunisce il sabato pomeriggio dalle ore 15 alle 17, una volta al mese per il periodo che va da ottobre 2012 ad aprile 2013.
La partecipazione, anche a singoli incontri, è libera e non occorre prenotazione, ma è richiesta la lettura preventiva ed individuale dei libri in discussione.


Prosegue poi la collaborazione con l'Associazione culturale di volontariato 'Natalia Ginzburg', con gli appuntamenti del "Salotto del martedì".
Il gruppo si incontra il martedì dalle 16 alle 18, con cadenza mensile da ottobre 2012 a maggio 2013. Per la partecipazione a questo gruppo è prevista l'iscrizione all'Associazione. Ci si può iscrivere al gruppo o direttamente agli incontri o in sede.
Info: http://www.universitaginzburg-mo.net/

La presentazione dei due corsi, il calendario degli incontri e i libri proposti dai due gruppi si possono leggere sulla colonna di destra. Dopo ogni incontro verrà pubblicata sul blog, a cura dei conduttori e dei partecipanti, una scheda riassuntiva che presenta il libro e dà conto degli spunti principali emersi dalla discussione.
Tutti possono aggiungere a queste schede di presentazione i propri commenti.

sabato 16 giugno 2012

Uomo e donna li creò - 9 giugno 2012 - Ave Mary

La rilettura delle Sacre Scritture svolta da Michela Murgia in Ave Mary non cerca di metterne alla prova la consistenza sintattica, né tantomeno di verificarne la plausibilità storica, ma ha l'intento, ben più "pericoloso", di sottoporle ad una serie di riflessioni che mettano in luce il ruolo subordinato e contraddittorio riservato alla donna.

Quali sono, ad esempio, le opzioni disponibili a Maria al momento dell'incontro con l'angelo? È costretta ad obbedire, o ha invece una propria autonomia da cui segue una scelta indipendente e ponderata? Anche interpretando la domanda dell'angelo come una vera richiesta, piuttosto che un'imposizione, bisognerebbe prendere atto che tutte le eventuali ragazze consultate prima di Maria sono state "censurate" e destinate all'oblio.

Un caso di esplicita disobbedienza è quello di cui si rende colpevole Eva, che viene punita in maniera esemplare. Il peccato originale diviene perciò un monito preventivo, affinché le donne rinuncino ad un desiderio di conoscenza e protagonismo che potrebbe mettere in discussione l'autorità imposta. La passività, sia che venga presentata come scelta autonoma (nel caso di Maria) o forzata (nel caso di Eva), è quindi l'unico tipo di comportamento femminile ammesso dalle Scritture.

In conclusione, le Sacre Scritture reggono oppure no alle domande di Michela Murgia? Chiaramente, le Sacre Scritture, di per sé, non sono altro che espressione e manifesto di un determinato contesto sociale; di conseguenza, quelle domande dovrebbero essere reindirizzate a chi dalle Scritture ha tratto un modello di educazione e comportamento. Sono le gravi carenze di questo modello a far sì che la riflessione sulle Sacre Scritture sia molto di più che una disputa teologica.

venerdì 8 giugno 2012

Uomo e donna li creò - verso "Ave Mary" di Michela Murgia

 Dopo il successo internazionale di Accabadora (premio Campiello 2010), la scrittrice sarda Michela Murgia pubblica con Einaudi Ave Mary, un libro che sta a metà tra il saggio di denuncia e la testimonianza intima. Tra i più letti in questo momento in Italia e già tradotto in diverse lingue, il libro nasce da un convegno che si svolse ad Austis, (un paese della Barbagia), provocatoriamente intitolato: " Donne e Chiesa: un risarcimento possibile?". Michela Murgia si muove dichiaratamente in un ambito frequentato, che l'ha vista essere "donna cristiana, animatrice parrocchiale di lungo servizio, tutto svolto nelle file dell'Azione cattolica". Ambito, (quello del simbolico religioso femminile,  frequentato anche per i suoi studi di teologia), che l'autrice ha avuto il coraggio di attraversare come un campo minato "mettendosi un paio di mutande di lamiera".
Legittimata dunque, più di altri che non hanno in curriculum il catechismo domenicale, (l’andare alla dottrina come si diceva qui) a raccontare quanto l'imprinting culturale che riceviamo da piccoli negli oratori delle parrocchie, ci condizioni, soprattutto nel rapporto tra uomini e donne, e  decisa a sostenere che se ci è stata raccontata una storia falsa è giusto tentare di correggerla. Questo libro serve allo scopo. Da cattolica illuminata si dice scarsamente interessata all'opinione ufficiale proveniente dai siti vaticani, che pure sul loro giornale l'hanno benevolmente recensita, "mi interessava l'opinione di mia zia - dice- la donna più maschilista che conosco".
Innanzitutto Maria non invecchia mai, forse neanche muore. L’avevate notato? "Nel mio paese d'origine - dice - (Cabras) dove la chiesa patronale è dedicata proprio a questa specifica raffigurazione dell'Assunta, la preghiera popolare afferma senza tentennamenti che "morta no, ma ses dormida, santamente reposende". Dormida, cioè addormentata".
Perché la Madonna non può invecchiare né tanto meno  morire? Perché la morte maschile è così ampiamente rappresentata nella cultura classica, nell’estetica cristiana, nelle raffigurazioni popolari  e più che mai nel nostro presente, e quella femminile no? Perché l’invecchiare maschile è bello e saggio e quello femminile no? L’imperativo “Non invecchiare!” (o “se invecchi non sperare di avere un briciolo di protagonismo”) in questa straordinaria operazione di marketing, cominciata con le fantasiose interpretazioni delle sacre scritture da parte dei celibatari della Chiesa, non è che a lungo andare ha condizionato le donne cattoliche e non solo quelle? Non è un caso che gli spot pubblicitari ci presentino sempre dei maschi che "invecchiano bene", "materassabili" (testuale), alla Sean Connery che ancora adesso a ottant’anni passati fanno la loro "porca figura" mentre le donne in là con l'età sono sempre alle prese con la paura che che la dentiera rimanga attaccata alla torta di noci.
E poi…Maria era una giovane donna per nulla timida, silenziosa e passiva. Interpellata dall’Angelo si prende autonomamente la sua responsabilità. Che razza di storia ci hanno raccontato? Una ragazzina di quattordici anni che si sente dire “guarda che rimarrai incinta prima di sposarti e prima di fare l’amore con tuo marito, ti va bene?” In un sistema patriarcale tribale c'era un'unica risposta a tanto scandalo: la lapidazione. Lei dice sì, un sì  libero e impegnativo, di adesione cosciente, raro anche, in un mondo (in ogni tempo e in ogni luogo)  di  "sì" femminili di sottomissione.
Madre piena di grazia, madre benedetta tra le donne,  madre inviolata, eppure tanto manipolata a uso e consumo dell’autorità, per piegare all’obbedienza tutte le donne, che a lungo andare ha perso addirittura il merito unico e sacro per cui era osannata e venerata. Rappresentata via via nei secoli senza più latte, senza più figlio, senza carne e senza colore, umiliata nella femminilità e nella sua stessa maternità cosa è rimasto di Maria? Poi c’è tutta la storia della verginità biologica, prima, durante e dopo il concepimento. Ma questa è troppo lunga da dire qui. Meglio leggere il libro.
Elena Bellei