venerdì 13 novembre 2009
Un libro un film - Revolutionary Road di Richard Yates
Una domanda che affiora, dopo aver lasciato decantare i sentimenti contrastanti per Frank e April Wheeler, protagonisti di Revolutionary Road, trentenni americani in pieni anni ‘50, genitori distratti di Jennifer e Michael, è questa: quando il sogno che spinge con alterna insistenza sulla coscienza inquieta dei protagonisti (l’Europa, la vita altrove, una esistenza più vicina alla propria autentica natura) debba infine considerarsi “fuori portata”? Che cosa lo trascina fuori dalla soglia del possibile? Chi non ha sufficiente forza morale per crescere un sogno come si cresce un figlio? E quanto quello stesso sogno, tramutato in illusione, si rende complice di quell’esistenza asfittica che tenta di sfuggire, o nel peggiore dei casi, fonte di dolore e di tragedia?
Il quotidiano piccolo borghese si mette in scena in una casetta bianca con giardino nel complesso residenziale di Revolutionary Hill. Frank ha un impiego, (poco amato) alla Knox, una azienda produttrice di calcolatori, dove prima di lui aveva lavorato il padre. April resta a casa con i figli. Sperimenta per poco un tentativo di carriera teatrale che risulta fallimentare. I vicini sono invasivi, gli amici (Shep e Milly Campbell), con i quali i due giovani condividono serate esageratamente alcoliche, oscillano tra solidarietà affettuosa, ammirazione e gelosia. Shep ama April segretamente.
Sulla vita della coppia, che pure potrebbe apparire senza ombre a uno sguardo estraneo, aleggia uno scontento greve, alimentato da parole mal dette e violenze reciproche. Una infelicità che nasce lontano (i riferimenti all’infanzia di April ce lo confermano, come la decisione di Frank di mandare la moglie dallo “strizzacervelli”) e mai compensata da una esistenza vissuta come dimezzata, così diversa da quella sognata.
Pare che tutto ruoti attorno al vuoto, al mancante, tanto che anche i piccoli risultano inconsistenti ombre di passaggio, e solo lo strampalato John, in visita in casa Wheeler nei pomeriggi di libera uscita dal manicomio, ne coglie le tragiche contraddizioni.
Ma se per Frank quella infelicità non si rivela mai come vero e proprio male di vivere, (sarà presto placata da una promessa di carriera e da una banale storia extraconiugale), per April è disperata energia, da prima convogliata in progetto (anche i giocattoli dei bambini sono già in valigia), e in seguito svilita e dispersa come in una rapida e fatale emorragia.
Richard Ford nella prefazione del libro ci offre una chiave di lettura consolatoria e claustrofobica al tempo stesso, e dice “l’autore guarda verso di noi con sguardo ammonitore, ci invita a vivere la vita come se avesse importanza tutto ciò che facciamo…” perché, attenzione, non farlo potrebbe mettere tutto in pericolo. Ma sarebbe troppo semplice pensare che ad April e Frank basterebbe guardare ciò che hanno per vincere il “vuoto disperato” che incombe sulla villetta bianca. Due destini senza via d’uscita sono già scritti nelle loro storie. Quello senza coraggio di Frank che si inganna due volte, riparandosi dietro le convenzioni sociali, senza troppa coscienza, e quello di April che porta fino alle estreme conseguenze la sua “rivoluzione”.
Elena Bellei, conduttrice del gruppo di lettura della Biblioteca Delfini
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