venerdì 21 gennaio 2011

Un libro, un film - verso 'Lolita' di Vladimir Nabokov


Humbert Humbert, un professore di mezza età, si innamora di Dolores, figlia adolescente della sua affittuaria e per starle vicino sposa la madre, che presto morirà in un incidente. La morte della donna lascia campo libero all’uomo e alle sue intenzioni trasformandolo in patrigno-amante. Con Dolores/Lolita il professore incomincia un viaggio attraverso l’America che ci appare più come un sequestro e una fuga (dallo sguardo degli altri, dai fantasmi del passato, dalla paura di perdere l’amore di lei…)

A chi chiedeva a Stanley Kubrick, che portò sullo schermo il capolavoro di Vladimir Nabokov, cosa lo avesse attirato principalmente in Lolita rispondeva …di certo è una grande storia d’amore. Lionel Trilling, critico letterario statunitense tra i piu influenti, definì il romanzo la prima grande storia d’amore del XX secolo, per quel senso di estraniazione che i protagonisti di tutte le grandi storie d’amore vivono, al pari di Romeo e Giulietta, Anna Karerina, Madame Bovary. Per quell’elemento di illecito o quello che è considerato illecito al tempo in cui la vicenda è ambientata.

In Lolita la passione travolgente e la tenerezza di una grande storia d’amore si aggiunge all’estraniazione degli innamorati da tutti coloro che li circondano, e naturalmente Nabokov, sempre secondo Trilling, era stato assolutamente brillante nell’omettere ogni segno di approvazione verso la relazione tra Humbert Humbert e Lolita, adorata ninfetta dodicenne. Lolita dallo sguardo complice, con gli occhiali a cuore e un bonbon tra le labbra (così come ce la mostra il regista nella trasposizione cinematografica) è per l’autore un miscuglio di infantilità tenera e sognate e una sorta di raccapricciante volgarità, una di quelle creature che rivelano a certi ammaliati viaggiatori - i quali hanno due volte, o molte volte, la loro età - la propria vera natura, che non è umana, ma di ninfa (e cioè demoniaca)…

Non a caso oggi 'Lolita' è sinonimo di adolescente maliziosa, ingenua e seduttiva, candida e provocante e infine perversa. Ma a dire il vero non sappiamo nulla di lei, avvolta e nascosta dalla sua stessa ambiguità e dall’atmosfera dominante, costantemente alimentata dal desiderio erotico del professor Humbert Humbert. È lo sguardo dell’io narrante che ci restituisce il ritratto di Lolita, sono le insofferenze della madre messe in scena dallo stesso narratore. Solo più avanti sapremo che si tratta di un ritratto inautentico, proiezione delle smanie di possesso dell’uno e delle gelosie dell’altra.

“…non sapevo proprio nulla della mente del mio tesoro, e che probabilmente, dietro gli atroci cliché giovanili, c’era in lei un giardino e un crepuscolo, e la cancellata di un palazzo, regioni velate e adorabili a me lucidamente e assolutamente proibite…”.

Dobbiamo attraversare più di duecento pagine per toccare Lolita, e sentire “i suoi singhiozzi nella notte - ogni notte, ogni notte - non appena io fingevo il sonno”.

Lolita non è nemmeno ninfa ma ninfetta, puledrina, è streghina, principessina, (ci ricorda altre 'ine' di tempi più recenti conservate in stato di minorità per essere amate). Lolita (Lo, Dolly, Carmen, Carmencita) è riproduzione fedele di Annabel, antico amore giovanile, e ha perduto il suo nome, non è più Dolores e non ritroverà la forza di essere Dolores nemmeno quando, quattro anni più tardi, proverà a ridisegnare una vita con un uomo che l’ama per quello che è (un po’ debole d’udito, anche lui non la sentirà?) e con un figlio in pancia.

Il romanzo è un capolavoro della letteratura mondiale, perchè tratta un soggetto riconosciuto come immorale (il termine 'pedofilia' compare una sola volta in tutto il romanzo) stabilendo nonostante questo un’indispensabile affezione tra il lettore e l’eroe, salvaguardato dagli alibi più comuni agli umani: lo struggimento estetico, il desiderio di fermare il tempo, la presunta purezza di un cuore adolescenziale di fronte all’amore. Un capolavoro anche per lo stile, per le pagine di struggente poesia che ci aprono spiragli di luce su di lei, mano a mano che si intravede una scheggia dell’animo di Lo che “corazzava la sua vulnerabilità con la trita sfacciataggine e la noia” e “uno sguardo di smarrimento così totale che pareva sfumare nel sollievo della stolidità”.

L’arte non è un fatto di cronaca, è bene non indugiare con sguardo severo sulle intemperanze del nostro eroe, ma i libri siamo noi oltre l’autore, e sono nostre le corde profonde che risuonano pizzicate dalle parole scritte, dunque siamo felici quando il professore vivrà la condizione di colpevole e solo il dolore tenterà di riscattarlo. Lolita è farfalla dalle ali inchiodate (Nabokov era abile cacciatore di farfalle ed esperto entomologo nella realtà). E qui non possiamo non vedere l’incanto, la pazienza dell’attesa, la cattura della farfalla, il suo tentativo di fuga e la sua crocifissione.

E saremmo magari ancor più felici di scoprire che le intenzioni dell’autore, che era uomo serio e non scriveva per scandalizzare, fossero quelle di rendere agli occhi del mondo il dramma universale dello stupro. Nabokov dal canto suo in più occasioni ha dichiarato che in verità la storia cela la metafora dell’amore del vecchio mondo per la giovane America. In ogni modo Humbert Humbert morirà di trombosi coronarica in prigione aspettando il processo per l'omicidio di Clare Quilty, l’uomo con il quale Lolita tenterà di mettersi in salvo, non per il male inflitto a Lolita. Ma nemmeno la sorte di lei (compensata e al tempo stesso corrotta dal denaro di Humbert) sarà meno tragica.

Elena Bellei, conduttrice del GdL Un libro, un film

1 commento:

  1. Se si misura il valore di un’opera d’arte anche (o soprattutto) da quanta vita è stata capace di catturare, come, è stato detto, in questo romanzo sembra entrarci il mondo:
    le sue forze più estreme, compulsive (la lussuria di Humbert ma anche di Lolita con le prime pulsioni sessuali tra i coetanei adolescenti); il tempo cadenzato della routine scolastica e degli svaghi ricreativi di Lolita, e poi il tempo che esce fuori dai suoi cardini nel girare a vuoto di una macchina per le strade d’America; il potere magico-fantastico che sprigiona dall’adolescenza di Lolita (ben rappresentato in miniatura dal fairy-tale dei “Cacciatori incantati”)che entra a contatto con lo spleen decadente di Humbert, il cinismo, la depravazione, e tutte le altre intrusioni, pesantemente negative, da parte del mondo adulto.
    Personalmente, tra le molteplici piste interpretative, sceglierei di seguire in chiave esistenziale il decorso del destino di Humbert, dove il punto nevralgico mi è sembrato quello relativo alla parte del “gioco” (di cacciatore-predatore) che a Humbert sfugge di mano.
    Infatti nel rivelare alcune componenti della sua complessa natura Humbert parla di quella di un epicureo (mostro immane e delirante), ma aggiunge “dietro quella furoreggiante beatitudine disputavano tante ombre perplesse… e non averle ascoltate, è questo che rimpiango!”
    Noi vediamo nelle prime fasi dell’ “oscena e lasciva promiscuità”, che Humbert pensa di poter tenere sotto scacco Lolita prospettandole alternative terribili rispetto alla vita che le offre lui, o blandendola con regali, e occultando tutte le implicazioni psicologiche dei suoi atti di appropriazione/ricatto: “…era sempre mio metodo e costume ignorare gli stati d’animo di Lolita, mentre confortavo il mio spregevole io”.
    E di tenerla in scacco rispetto anche alle proprie emozioni (pensa molto cinicamente che potrà sostituirla quando Lolita supererà la fase della “ninfetta”, e quindi potrà esserci una Lolita II, anche migliore del primo esperimento!) .
    Ma quando Lolita riesce a ribaltare il suo ruolo di vittima apatica mettendo in atto il suo piano di fuga, ecco che subentra la vera prospettiva. Humbert vive in modo lancinante il trauma della separazione, e questo lo mette forzatamente a contatto con le correnti più profonde che motivano il suo attaccamento per Lolita e che vanno quindi molto al di là del suo cinico estetismo, e del godimento di una bellezza mozzafiato.
    E’ nel momento della visita di Humbert a Lolita nella casa dove vive con il marito Dick che assistiamo a un significativo mutamento. Lolita che porta in grembo un figlio gli appare molto lontana dagli struggenti ricordi di lei tenera adolescente eppure sente di volerla ancora come è adesso e come sarà in futuro quando saranno scomparse ancor più le tracce della sua immagine idolatrata di “ninfetta”. Questo perché la memoria poetica (come insegna il tema proustiano aleggiante fin dalle prime pagine) si dimostra motivo di attaccamento superiore alla pura bellezza. E ancora più profonda e decisiva, per il tragico epilogo di Humbert, è la forza debole rappresentata dalla compassione. Humbert si mette finalmente a fondo nei panni di Lolita (il cui altro nome è Dolores) e sente, che, derubandola della sua infanzia, ha commesso un crimine senza rimedio, perché se qualcuno riesce a provare che l’ “immonda lussuria” che egli ha inflitto a Lolita a lungo andare non ha importanza “se qualcuno ci riesce, allora la vita è una farsa”.

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