martedì 10 gennaio 2012

Uomo e donna li creò - verso "Una famiglia americana" di Joyce Carol Oates

“Eravamo i Mulvaney, vi ricordate di noi? Forse pensavate che la nostra famiglia fosse più grande. Ho incontrato spesso persone convinte che noi Mulvaney fossimo virtualmente un clan… Per parecchio tempo ci avete invidiato, poi ci avete compianto. Per parecchio tempo ci avete ammirato, poi avete pensato: Bene! E’ quello che si meritano…”

E’ Judd, il figlio minore, il piccolo di casa (Piccolo, Fossette, Belfaccino, Musone, Ranger…) che ci guida nella grandezza e nel declino della famiglia Mulvaney, a fare la conoscenza con ognuno di loro. Il padre, apprezzato artigiano, a capo dell’impresa Mulvaney tetti e coperture, uomo solido dai modi cordiali, sicuro che onestà e lavoro ben fatto gli meriteranno una indiscussa reputazione di artigiano serio e di buon padre di famiglia (tipo simpatico, forte e tollerante, innamorato della moglie). Corinne, la madre, dedita alla cura della casa e dei fornelli (dell’orto, del giardino, del magazzino di modesto antiquariato, della stalla) che veglia sul benessere dei figli e del marito (dei cani cavalli gatti pappagalli conigli), donna pia, ma non bigotta, fa della casa un posto incantevole, un luogo di gioia, di vivere e di tolleranza.

Mike Jr., il fratello grande, quasi adulto al momento della storia, sportivo, festaiolo, che lavora nell’impresa del padre. Patrick taciturno, intellettuale, appassionato di letteratura, di scienze e di matematica che, per un colpo di zoccolo di cavallo, ha perso un occhio. Poi c’è Marianne (per la madre Germoglio), unica figlia, gloria del padre. Bella e gentile, fonte di ammirazione e invidia (anche di gelosia e sarcasmo da parte degli amici della scuola). Troppo bella? Troppo buona? Forse troppo perfetta. Marinane suscita l’amore dei ragazzi piu timidi. Infine Judson Andrew, più familiarmente Judd.

Nulla sembra temere questa famiglia, unita da una solidarietà incrollabile perché, come dice il capo famiglia “Noi Mulvaney siamo legati dal cuore”. Fino a che questa bella armonia crepa e cade a pezzi nel giorno di San Valentino, nel febbraio del 76, l’indomani di una festa da ballo organizzata dal liceo
  Mont-Ephraim. Un avvenimento doloroso, e tutto quello che ne seguirà, che manda in briciole l’equilibrio di una famiglia esemplare.

Nessuno ne uscirà indenne. I Mulvaney, mortificati e feriti di fronte a un colpo della sorte tenteranno, indifesi, ognuno con i propri mezzi, di superare la prova e di fare rinascere l’armonia dei giorni felici. E ognuno di loro dovrà far fronte all’ottusità e al disprezzo della comunità per tentare di mettere in salvo, se non il mito e la realtà dell’unione, almeno se stessi. Joice Carol Oates penetra l’intimità di una famiglia della middle class americana di fronte all’ipocrisia e l’intolleranza di una società di “ben pensanti”, dove la tolleranza non si applica che in stretti e ipocriti limiti che non è opportuno oltrepassare.

Ricco di buone intenzioni e di precetti umanitari, innaffiati alla sorgente protestante, questa società americana nasconde sotto i tappeti e i sorrisi di circostanza i germi del tradimento diffamante nei confronti di chi ha “peccato”. Più facile rimuovere coloro che con le loro azioni gettano un ombra sulla “reputazione” della comunità.

E’ una critica amara e feroce quella di Joice Carol Oates, che prende di mira gli aspetti malfamati e malfamanti della classe media americana, abitata da personaggi irresistibili agli occhi del lettore che, preda della crudeltà della comunità, si tuffano come in fuga dentro loro stessi alla ricerca di una forza che possa metterli in salvo. E che possa in definitiva impedire di diventare a loro volta portatori di odio, stupidità e intolleranza.

Elena Bellei

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