martedì 23 aprile 2013

Il salotto del martedì - Il buon uso del mondo, di Salvatore Natoli

Salvatore Natoli, Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio, Mondadori, 2010

Il titolo del libro non racchiude in sé il tema trattato. Parlare del “buon uso del mondo” dopo secoli (soprattutto il XX) di azione economica dedita allo sfruttamento selvaggio del pianeta, è impresa ardua, com’è ardua l’inversione di rotta per riportare lo sviluppo su posizioni accettabili e compatibili con il rispetto dell’ambiente.
Natoli parte da lontano, dal “fare e agire” aristotelico; il fare è qualcosa che transita, l’agire permane; il fare, quasi sempre, significa buttarsi nella mischia per sfuggire alla marginalità sociale, l’agire è esattamente l’opposto: trovare la ragione del fare per cambiare. Nell’agire c’è tutto il sapere materiale e intellettuale, che nel lavoro trova la sua realizzazione. Profonda è la connessione tra lavoro e libertà.
Nell’antica Grecia Aristotele vede nell’ozio, che non è il dolce far niente, una capacità di saper impiegare il tempo. Per praticare l’ozio bisogna possedere la sapienza, il valore, la moderazione, in breve la virtù.
Come gruppo ci siamo soffermati a lungo su questo punto: l’argomento era troppo interessante per non discettare e riflettere sul perché del moderno significato dis-attivo dell’ozio, dello staccare la spina. Alla considerazione del lavoro come fatica si contrappone il non far niente come recupero delle energie psico-fisiche.
Homo oeconomicus: denaro-produzione-consumo, circolo vizioso o benefico, dipende dai punti di vista: già nel XVIII secolo si era capita l’importanza di tale motore; Montesquieu: “Se i ricchi non spendono a piene mani, i poveri moriranno di fame”. La crisi odierna fotografa un’identica situazione, basta sostituire “ricco” con “classe media” e l’attualizzazione è fatta.
Veniamo al significato più stretto del titolo, che allude alla sostenibilità dei consumi: Natoli chiama in causa Spinoza, quando delinea il profilo della “condotta razionale”, poiché la filosofia non è astratto pensiero, ma criterio di vita, criterio regolatore della condotta degli uomini. Il consumo non è male se si inserisce nel “buon uso del mondo”. Consumare con giudizio. Gli individui devono acquisire competenza per capire quale tipo di consumo fa crescere e quale vizia. A mio modesto avviso il discorso diventa pedagogico e aleatorio: consumare cose utili o inutili, valutare l’indispensabile e il superfluo… si potrebbe andare all’infinito senza giungere a conclusioni. Natoli cerca agganci col pensiero sociologico contemporaneo di Serge Latouche, ma non riesce a dipanare la matassa tra consumi che fanno bene al mondo e consumi dannosi. Se pensiamo ai paesi emergenti che stanno crescendo a ritmi vertiginosi e non badano troppo al buon uso del mondo, come possiamo noi Occidentali che per secoli abbiamo consumato di tutto e di più salire sul pulpito e predicare decrescita, sobrietà, frugalità a miliardi di persone che lavorano per qualcosa di più del nulla?
Per Natoli neanche un discorso di etica può configurare una condivisa visione del mondo in senso antropologico; troppo spesso la si confonde con l’osservanza delle regole e delle norme, come un fastidio formale. Natoli riscopre nell’ethos il posto da vivere, di cui avere cura. A tale scopo, ancora una volta chiama in causa Aristotele: “l’uomo è un animale politico”, quindi è la politica che consente agli uomini di cooperare tra di loro in vista del bene comune.
Infine, nel capitolo dedicato alla democrazia, Natoli cita Pareto quando parla della vocazione delle élite ad esercitare il potere , ma anche della necessità del ricambio delle stesse per evitare degenerazioni della democrazia.
Utili appaiono gli accenni alla rete come mezzo di informazione e non di formazione. Inoltre Natoli vede bene un ritorno all’associazionismo, nelle sue svariate forme: partito, volontariato, comitati…, mezzi utili ad allargare la sfera pubblica dei processi formativi e decisionali della politica.

Tarcisio Maracchioni

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