giovedì 5 maggio 2011

Il salotto del martedì - verso "La tigre bianca", di Aravind Adiga

Se avete letto Cuccette per signora di Anita Nair, ricorderete la stazione di Bangalore, in cui fino al 1998 sopravviveva l'antiquata usanza dei posti in treno riservati alle donne.
Beh, la Bangalore di cui si tratta in questo romanzo (Aravind Adiga, La tigre bianca, Einaudi) è tutta un'altra cosa. Centro mondiale della tecnologia e dell'outsourcing, la città è un grande cantiere a cielo aperto, piena di giovani che, nei grattacieli di vetro, “fanno delle cose al telefono per gli americani”. È la nuova India, quella che sta diventando, al fianco della Cina, una delle maggiori potenze economiche mondiali: la Luce, cui il protagonista riesce ad arrivare sfuggendo al mondo delle Tenebre, cioè ai raccapriccianti villaggi di fango in cui vivono i “ragni umani”.
L'autore, che è un giornalista trentenne, vincitore nel 2008 del Booker Prize, costruisce il libro attorno ad un'efficace metafora: la tigre che parla col dragone, l'imprenditore indiano autodidatta che scrive sette lettere al primo ministro cinese, raccontandogli il lato oscuro della nuova “shining India”. Per far questo, il protagonista descrive la sua ascesa sociale, che è però, contemporaneamente, anche una discesa negli abissi della corruzione. Perché il guaio è che questa rivoluzione indiana è accompagnata dalla violenza, dal sopruso, dall'inganno di una falsa democrazia, in cui gli ultimi riescono a sopravvivere solo conformandosi alla legge della giungla. E l' “imprenditore” che racconta come è riuscito a raggiungere il successo, per quasi tutto il libro non è un uomo d'affari, ma un servo. “In questo paese una manciata di uomini ha addestrato il restante 99,9 per cento a vivere in un perenne stato servile”.
Il tutto descritto con stile sarcastico e tagliente: una lettura interessante, anche se lascia l'amaro in bocca.



Matilde Morotti

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