martedì 3 maggio 2011

Un libro, un film - 28 aprile 2011 - Quel che resta del giorno

Stevens, protagonista di Quel che resta del giorno, è il modello di una figura al tramonto: il maggiordomo incaricato di gestire tutti gli aspetti pratici della grande residenza di un influente membro dell’aristocrazia britannica. Il viaggio attraverso la campagna inglese, offerto dal nuovo padrone americano, diventa quindi l’occasione di riflettere su una professione che ha assorbito ogni istante della sua vita.
Ciò che caratterizza un grande maggiordomo è, secondo Stevens, la sua dignità. Sebbene una definizione accurata di questo valore non sia facile da individuare (vi sono infatti dedicate ampie pagine), a un grande maggiordomo sono richiesti assoluta lealtà e obbedienza verso il padrone e il massimo impegno e coerenza nell’adempimento del proprio lavoro, qualunque esso sia. Questo ideale è perfettamente incarnato da Stevens.
Le qualità vantate da Stevens sono tuttavia perseguite con eccessiva coerenza, rivelando un atteggiamento ottuso che imprigiona il maggiordomo nella sua vita professionale. Stevens è infatti “cieco” sia nei confronti della storia (gli errori di Lord Darlington) che dei sentimenti (i tentativi di Miss Kenton nei suoi confronti). Questa doppia “cecità”, sia verso il padrone che verso i sottoposti, rappresenta la staticità di una società classista di cui Stevens e Lord Darlington sono immagini fedeli.
Quando Stevens mette a fuoco tutto ciò, è ormai troppo tardi: Lord Darlington ha fallito e Miss Kenton si è accasata. Che cosa dunque resta del giorno? Una profonda solitudine, contro cui Stevens è abbastanza corazzato per non tramutarla in disperazione, in perfetta coerenza con il proprio ruolo. D’altra parte, la vita di Miss Kenton gli mostra che esistono molti modi di essere coerenti, tutti assolutamente dignitosi.

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