mercoledì 21 dicembre 2011

Il salotto del martedì - 6.12.11 - Non lasciarmi, di Ishiguro



Non a tutti è piaciuto questo romanzo di Ishiguro! Qualcuno l’ha trovato noioso e ripetitivo, soprattutto nella prima parte, qualcuno è stato respinto dalla tematica fantascientifica. Altri, invece, hanno apprezzato il sottile studio psicologico dell’adolescenza, le capacità descrittive ed evocative dei paesaggi inglesi (il Norfolk è un vero protagonista) ed infine la capacità di suggerire i percorsi quasi a spirale della memoria. La suggestione della storia è legata, però, alle tematiche che essa solleva: fino a che punto si può lasciare esprimere la potenza della scienza? quanta e quale sperimentazione genetica è possibile? e ancora: quanto l’educazione può proteggere dai dolori della vita e dare strumenti per una maggiore coscienza, se non umanità? Anche il ruolo dell’arte è chiamato in causa: nel libro si usa l’arte per dimostrare che i cloni hanno un’anima; l’arte, la creatività ne sono la riprova. Un altro “grande tema”che è emerso dalla lettura è quello della finitezza umana e della morte, che i cloni chiamano”compimento del ciclo”: è un destino comune che li porta a “prendersi cura” l’uno dell’altro. Molto toccante è anche la ricerca dei ragazzi del “possibile”, cioè della persona che ha dato le cellule per produrre il clone, che richiama il tema del chi siamo e da dove veniamo e rende ancora più inquietanti le domande sull’eticità di certe scelte della scienza. Si pensato che nella scelta della canzone che dà il titolo al libro ci sia un rimpianto-nostalgia degli anni ’60, quando in Gran Bretagna si lottava per un’educazione “per tutti” non più elitaria; la storia che l’autore ci propone ne mostrerebbe i benefici. A qualcuno il libro ha ricordato certi racconti di fantascienza degli anni ’60, di carattere sociologico, vedi La macchina del tempo, che prospettavano scenari futuri in cui si ponevano interrogativi sulle scelte da fare. Ci si è chiesti perché i protagonisti della storia non si ribellano, non cercano di fuggire alla loro sorte e si è ipotizzato che forse l’ambiente stesso li ha plagiati, inducendoli ad un dono di se stessi obbligato e dispotico, che annulla ogni possibilità di scelta. Solo uno dei personaggi, Tommy, pare vivere questo ruolo con rabbia e disagio, ma ritiene che quello che prova sia un suo limite. Si è colto un forte senso di ineluttabilità e nostalgia (bellissima l’invenzione del “luogo delle cose perdute”, che è un tratto dell’autore già presente nel romanzo Quel che resta del giorno). La scrittura è stata riconosciuta da tutti come curata ed evocativa, ma poco concreta e talora ripetitiva, quasi a creare un mondo impreciso e fluttuante.
(a cura di Edda Reggiani)

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