venerdì 11 marzo 2011

Il salotto del martedì - verso "Cecità" di Josè Saramago

Provate ad immaginare di essere un uomo che in una qualunque città, all'ora di punta, mentre è fermo al semaforo con la sua auto, improvvisamente si accorge di aver perso la vista. Scatta il verde, ma la macchina non parte. L'uomo urla la sua disperazione: è diventato cieco.
Inizia così "Cecità", del portoghese premio Nobel Josè Saramago ("Memoriale del convento", “Storia dell'assedio di Lisbona”, “L'anno della morte di Ricardo Reis”, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”).
Da quel momento, la cecità (che non è la comune mancanza della vista, ma un morbo sconosciuto che immerge chi ne è colpito in un biancore color latte) si diffonde come una pandemia. In un certo senso, tutta la storia si sviluppa da questa domanda iniziale: "Che cosa succederebbe se... diventassimo tutti ciechi?”. Come Saramago stesso ha spiegato, il suo intento era collocare “un gruppo umano in una situazione di crisi assoluta”. È una specie di esperimento sociologico, in cui si studia il comportamento del gruppo in relazione con gli altri gruppi: quali rapporti stabiliscono gli esseri umani tra di loro, in che modo si adattano a condizioni di vita sempre più bestiali, quali condizionamenti scompaiono?
Inutile dire, conoscendo il pessimismo antropologico di Saramago, che quello che rapidamente s'instaura è una specie di universo concentrazionario, in cui domina la legge della sopraffazione. Questo libro ci presenta in forma allegorica un'umanità degradata e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità. Ma non era così anche prima dell'epidemia? Come dice un personaggio: "Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono” (p. 276). Che cos'è, dunque, la cecità? Non sarà, forse, la malattia invisibile che si diffonde nel nostro mondo, rendendoci sempre più ciechi ai bisogni degli altri, sempre più egoisti e disperati? Se tutti ci ammalassimo di questa cecità, ci ritroveremmo ognuno a fare la guerra a tutti gli altri. Sentiamo ancora la voce di Saramago: “Quello che racconto in questo libro, STA SUCCEDENDO IN QUALUNQUE PARTE DEL MONDO IN QUESTO MOMENTO”.
Insomma un romanzo inquietante, tutto domande, senza risposte. Ma non tutto è male. C'è un angelo, in questo inferno: la moglie del dottore, l'unica che vede (ha finto di essere cieca, per stare vicino al marito). È lei a guidare il primo gruppo di ciechi; è lei, assieme alle altre donne, a rappresentare la sopravvivenza della ragione e dell'umanità in questo viaggio agli inferi con miracoloso ritorno.

[a cura di Matilde Morotti]

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