lunedì 21 marzo 2011

Un libro, un film - verso 'Le notti bianche' di Fëdor Dostoevskij

Un giovane uomo, solitario e romantico, incontra una notte, in una Pietroburgo deserta, una ragazza in lacrime per una pena d’amore.

La sua timida audacia conquista la donna che, dopo una prima titubanza, si lascia consolare (nonostante il giovane sia per lei un perfetto sconosciuto) e accetta di essere accompagnata verso casa. I due si ripromettono di rivedersi l’indomani nello stesso posto. Entrambi mantengono la promessa. Ma Nastenka cerca un confidente, non un amante, mentre il giovane si innamora di lei fin dal primo momento e la sua indole romantica lo induce a credere che quel magico incontro possa essere l’inizio di una lunga storia d’amore.

L’uomo si definisce un sognatore, parla di sé in terza persona, confessa di soffrire di solitudine, di non avere amici, di non avere mai veramente vissuto se non nei momenti che divide con lei.

“Un sognatore non è un uomo – dice – ma un essere neutro. Si stabilisce il più delle volte in un cantuccio inaccessibile, come se volesse fuggire perfino la luce del giorno…”.

E ancora…“Non posso tacere quando il mio cuore parla… Non posso vivere senza sognare… In sogno creo interi romanzi… Nella mia vita c’è così poca realtà”.

Nastenka, dal canto suo, racconta la povera esistenza di orfana costretta a vivere accanto alla vecchia nonna cieca che la tiene segregata e stretta alla sua gonna con una spilla. Ma anche lei ha un sogno d’amore e di fuga al quale vuole restare fedele come a una promessa, un sogno che dopo un’attesa paziente (un anno esatto) giura a se stessa che diventerà realtà.

Un anno è passato e la fedeltà vacilla, Nastenka cede alle insistenze amorose del giovane e insieme i due fanno progetti. Ma cosa sono pochi giorni d’amore al confronto con una così lunga e devota attesa?

L’uomo che Nastenka veramente ama ritornerà e il sognatore resterà stordito dal dolore… “Subito il giovane si accostò. Dio, quel grido! Come cominciò a sussultare. Come strappò la sua mano (Nastenka) alla mia stretta per correre da lui… Io rimasi quasi immobile a guardarli più morto che vivo… Poi li perdetti di vista…”.

E noi con lui li perderemo di vista e non ci resterà che chiederci se i due vivranno per sempre… (come in ogni autentica finzione) felici e contenti.

Sotto il cielo stellato che apre meravigliosamente il racconto vivono uomini capricciosi e iracondi, si chiede il protagonista quasi a dubitarne. Ma questa è una domanda da giovani, ci fa sapere la voce narrante. Certo sotto quel cielo vivono assieme ai capricciosi e ai collerici anche i sognatori. Cosa resta dei sogni e dei desideri dopo la loro realizzazione, quando questi cessano di essere tali e non più materia per sognatori? E cosa resta dei sogni quando la vita stessa ti farà sapere che non saranno mai realtà? Lasceranno presto spazio ad altri sogni e altri desideri? Si tramuteranno in una irremovibile nostalgia? “Non credere che io ricordi la mia umiliazione Nastenka, né che offuschi con una nuvola nera la tua tranquilla serenità. Non credere che io voglia rattristare il tuo cuore con amari rimproveri… Sia sereno il tuo cielo. Sereno e luminoso il tuo caro sorriso. Sii benedetta per quell’attimo di gioia, di felicità che hai dato a un altro cuore solitario riconoscente. Dio mio. Un attimo di vera beatitudine. È forse poco per riempire la vita di un uomo?”.

Elena Bellei, conduttrice del GdL 'Un libro, un film'

1 commento:

  1. Il tempo della vicenda coincide con l’avvento della primavera a Pietroburgo, e questo contribuisce a far sentire nell’aria la nota inquieta, vibrante della giovinezza sempre in tensione con lo spettro incombente di un “troppo tardi” per vivere tutto il mondo febbrile, palpitante racchiuso nella parola “giovinezza”. E la scena si apre difatti con: “Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle…” e si termina con l’immagine della ragnatela, del moltiplicarsi delle ragnatele nella stanza del sognatore e del mondo di colpo invecchiato anche al di fuori dalla propria finestra.
    Questo tipo di struggimento giovanile è come raddoppiato nei due destini, del protagonista e di Nasten’ka, due destini differenti ma molto somiglianti nella loro rispettiva ansia di vivere la giovinezza, acutizzata per l’uno dalla sua singolarità di “sognatore” (portato ad imboccare il sentiero del creatore fantastico, ma solitario), e per l’altra dal suo essere intrappolata in una situazione (la costante cura della nonna cieca) condizionante e opprimente.
    Il dramma di un’attesa in cui si condensano tutte le speranze di una vita mi ha fatto venire in mente “Un tram chiamato desiderio”, solo che Nasten’ka non ha l’intensità di Blanche, né la complessità drammatica dell’eroina di Tennessee Williams; Nasten’ka non è una che cerca nella notte le stelle quasi fossero proprie sorelle come fa Blanche, non è una sognatrice che ama circondarsi del velo dell’illusione, ciò che la rende interessante è il fatto di avere una storia da raccontare, una storia che pur nella sua semplicità dischiude tutta una serie di realtà concrete, vive, piene di curiosi dettagli, che mettono in subbuglio e in crisi le gioie, pur eccezionali, e le certezze del sognatore e del suo favoloso mondo, (difatti lui ammette con mestizia di non avere nessuna storia).
    C’è quindi forse anche l’interessante tema della competizione tra i “sogni” creati dalla mano capricciosa della dea Fantasia e “una storia” che affonda le radici nel passato, di cui si fanno portavoce i due pretendenti dell’amore per Nasten’ka: il primo portato per il suo temperamento romantico a cavalcare l’onda sentimentale nata e cresciuta in quelle quattro notti; il secondo, dalle intenzioni nobili e anche pratiche, rinuncia a coronare nell’immediato la sua storia con la ragazza, lasciandola con la promessa di sposarla una volta che si sarà fatto una posizione e avrà risolto le sue difficoltà finanziarie.
    E io come lettrice –pur assistendo con profonda amarezza alla “doccia fredda” patita dal sognatore- ho parteggiato e gioito per il ritorno all’ultimo momento dello studente, proprio perché sono stata colpita da questa particolare storia, e ho pensato che nella narrativa come nella vita è sempre un peccato quando trionfano molto banalmente fattori come tempo, lontananza (o altri), sulla costanza degli affetti, su di una “particolare storia”.

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