domenica 22 agosto 2010

Un libro un film - L'eleganza del riccio di Muriel Barbery

Muriel Barbery, L'eleganza del riccio, E/O 2007

Quante storie possono nascondersi in un condominio?

L'eleganza del riccio narra abitudini, caratteri, storie personali e familiari degli abitanti di un palazzo parigino da due punti di vista 'speciali'.

Il primo è quello della portinaia, Renè Michel , donna dall'apparenza semplice che nasconde a tutti la sua profonda passione per la lettura ed in particolare per la filosofia. "Vi dirò: se finora avete pensato che io, passando di bruttezza in vecchiaia e di vedovanza in portierato, sia diventata qualcosa di miserabile, rassegnata alla bassezza del proprio destino, è perchè non avete immaginazione [...] Ma, nel chiuso della mia mente, non esiste sfida che io non possa accettare" (p.46).

L'altro punto di vista è quello della dodicenne Paloma, di eccezionale intelligenza ed appartenente ad una ricca famiglia. Anche lei, come la portinaia, è alla continua ricerca di un nascondiglio per coltivare i propri interessi segreti: "Mi sono data come obiettivo di riflettere il più possibile e di annotare su questo quaderno i pensieri profondi che mi verranno in mente: se nulla ha un senso, la mente deve almeno mettersi alla prova: non è vero?" (p.18).

La vita del condominio di rue de Granelle si intreccia così con le riflessioni fenomenologiche dell'una e quelle esistenzialista dell'altra fino all'incontro di entrambe con la cultura giapponese del nuovo inquilino, il signor Kakuro, che riuscirà a portarle allo scoperto, fuori dai loro nascondigli.

Successo letterario del 2006 in Francia, L'eleganza del riccio ha una versione cinematografica nel 2009 per la regia di Mona Achache con il titolo Il riccio. Difficile credere a Muriel Barbery quando alla stampa dichiara: "Il film in uscita non ha nulla a che vedere con il mio romanzo": la sua presa di posizione sembra piuttosto una delle tante querelle tra autore e produttore nella storia delle trasposizioni cinematografiche dei romanzi. "Quando si gira una trasposizione, questo rapporto è angoscioso, ma anche stimolante" dichiara Mona Achache in una intervista. Ed anche se il film esce nelle sale dichiarandosi 'liberamente ispirato' all'opera di Muriel Barbery è innegabile che si tratta di una versione fedele al testo.

Ed ecco che quando le parole si traducono in immagini il diario di Paloma diventa la pellicola che cattura la vita del condominio con una vecchia videocamera, mentre libro e film condividono la storia narrata e l'obiettivo di dare voce a donne 'invisibili' rivelando in loro l'eleganza del riccio: "Madame Michel ha l'eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti finemente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti" (p.137).

lunedì 2 agosto 2010

Un libro un film - Lo spazio bianco di Valeria Perrella


Valeria Parrella, Lo spazio bianco, Einaudi 2008.
Maria ha partorito Irene – frutto di un amore distratto - tre mesi prima del termine. Per poter nascere davvero Irene dovrà restare nell’incubatrice fino a quando i suoi polmoni funzioneranno da soli. Per Maria comincia il tempo di una gravidanza vicaria, vissuta nel reparto con le altre madri. Intere giornate seduta davanti all’incubatrice bianca e a interrogare i medici, che però non sanno se Irene vivrà. Tradita dalla scienza, Maria deve imparare ad aspettare senza sapere, deve rinunciare all’attitudine razionale che l’ha sempre guidata e che ora la lascia senza respiro di fronte al dolore, che non le permette di arrendersi alla casualità del male e di dire “queste son cose che succedono”. Nel frattempo, nello stesso spazio della speranza vive il pensiero della morte che, essa almeno riconoscibile e chiara, potrebbe sollevarla dall’angoscia. Per avere una tregua alla fine delle giornate in ospedale Maria riprende il lavoro e ottiene un po’ di conforto dall’amicizia di Fabrizio, suo collega insegnante nella scuola media serale per adulti.
Dopo due mesi Irene viene tolta dall’incubatrice e madre e figlia, finalmente, conquistano la condizione ordinaria di tutti gli esseri umani che, normalmente, respirano da soli.
L’esperienza vissuta nell’attesa diventa per Maria come lo spazio bianco che il suo allievo Gaetano, all’esame di licenza, deve lasciare sulla pagina per poter continuare a scrivere:
- Mi sono bloccato
- Che cosa vuoi dire?
- Vorrei andare avanti.
- Mettici un futuro.
- No, voglio metterci il presente.
- E scrivi al presente.
- Però vengo già da un presente che è finito mo …
- Mettici uno spazio bianco e ricomincia a scrivere quello che vuoi.

martedì 13 luglio 2010

Un libro un film - Happy Family® di Alessandro Genovesi

La famiglia felice – anzi sono due – non è proprio così felice. Il capofamiglia Vincenzo scopre di avere il cancro; la moglie Anna, distratta da pensieri cupi e forse non più innamorata del marito, viene investita da una bicicletta, il cui proprietario finisce dritto all'ospedale; la figlia maggiore Caterina, pianista talentuosa, è ossessionata dalla paura di emanare un odore poco gradevole; il figlio piccolo Filippo – che ancora non sa di essere gay – vuole a tutti i costi convolare a giuste nozze con una coetanea quindicenne.

Ed è la fidanzata di Filippo, Marta, che ci introduce all'altra famiglia non proprio felice, i cui componenti non hanno nemmeno un nome: sono soltanto Mamma e Papà di Marta. La mamma di Marta è una quarantenne nevrotica e brontolona, sempre innervosita dalla superficialità del marito, che considera un imbecille, incallito fumatore di canne. Ci sono poi Gianni e Lucia, due cani invece molto felici, e nonna Anna, novantaduenne madre di Vincenzo, malata di Alzheimer, di certo smemorata, ma sicuramente non triste.

Ebbene, se questi sono i protagonisti della vicenda, il narratore è Ezio, trentenne nullafacente e misantropo, con la paura degli attacchi di panico e di tante altre cose, e l'aspirazione a scrivere un «romanzo di nicchia, che però venda. Anche non un cult. Basta che sia un bel libro». Vive grazie alle royalties dell'invenzione del padre, morto da sette anni: la pallina per detersivo da mettere direttamente nel cestello della lavatrice. E per questo fa seguire a tutti i nomi che indicano un prodotto la ® del marchio registrato: «non è scrittura creativa, è correttezza».

L'autore Ezio entra a far parte della vicenda narrata: è lui il ciclista che investe Anna, ed è sempre lui ad essere invitato alla cena in cui si incontrano le due famiglie per discutere dell'improbabile matrimonio tra i figli adolescenti, peraltro presto naufragato per il ripensamento di Marta, nel frattempo invaghitasi di uno di III C...

Ed è sempre qui, intrufolandosi nella storia dei suoi stessi personaggi, che Ezio conosce Caterina, se ne innamora e fa un figlio con lei, entrando, lupus in fabula, nel vivo della storia e nel cuore della famiglia.
In realtà Ezio è solo una delle voci del romanzo, visto che la parola viene presa alternativamente da tutti i protagonisti, che anzi, a tratti, si lamentano con l'autore di non avere abbastanza spazio nella storia o chiedono di essere meglio definiti come personaggi, o addirittura, in gruppo, reclamano che lo scrittore non metta fine al racconto, ma lo continui.

La lettura è gradevole, per niente faticosa, strappa più di un sorriso e affronta con grande brio e leggerezza temi attuali e difficili: le ossessioni, le paure, la solitudine. Il messaggio che veicola è chiaro e semplice: in compagnia i problemi si affrontano meglio che da soli. Così Ezio e Caterina superano insieme i disagi che li condizionavano quando erano single; allo stesso modo Vincenzo riesce a morire il più serenamentre possibile grazie ad un nuovo amico – il papà di Marta – e al ribaltamento della routine della vita. Insomma, Happy family® (Mondadori, 2010), pur senza tralasciare di abbozzare le difficoltà, le insofferenze, le delusioni derivate dalla vita in comune con gli altri, lascia intendere un vivo apprezzamento per il momento in cui «non si ha più voglia di stare da solo, di mangiare da solo, di vivere da solo».


Il film di Gabriele Salvatores (2010) rispetta fedelmente il libro, pur con la variante di Ezio sceneggiatore piuttosto che scrittore. La fotografia è curata in ogni particolare, a tratti un po' leziosa, felicemente accordata alla leggerezza che informa tutta la storia. Il rosso è il colore predominante, il cui uso restituisce un'armonia vagamente surreale alla visione, in una Milano accaldata e poetica.
Perfetto Fabio De Luigi nel ruolo di Ezio. Strepitoso Abatantuono che regala un Papà di Marta molto più caustico ed energico della versione letteraria.

venerdì 2 luglio 2010

Un libro un film - Un uomo solo, di Christopher Isherwood


Una giornata nella vita di George, un professore inglese di mezza età che vive in California, nel 1962. Una giornata fatta delle solite cose: il faticoso risveglio, la lezione al college, i vicini di casa apparentemente cordiali, in realtà sospettosi della sua diversità. Una giornata senza Jim, il suo compagno morto in un incidente stradale.
Un romanzo sulla perdita, sulla solitudine, sul bisogno di amore.
La signora Strunk, vicina di casa, prova ad esorcizzare l'innominabile che è in George leggendo libri di psicologia, che spieghino le ragioni profonde delle sue scelte affettive.
"Ma cara signora Strunk, dice George, quando ti racconta che Jim è il sostituto che mi sarei trovato per un figlio vero, un fratellino vero, un marito vero, una moglie vera, il tuo libro si sbaglia. Jim non sostituiva niente. E se permettete, un sostituto per Jim non esiste".
E poi c'è l'amica Charlotte, detta Charley, alle spalle una separazione dal marito e un figlio che non la considera. Charley fatica ad arrendersi all'idea che la loro amicizia non potrà diventare (o tornare ad essere) altro.
E infine c'è Kenny, lo studente della nuotata notturna. George sa esattamente che cosa vuole il ragazzo, ma non può essere lui a dirglielo, e Kenny non è pronto a scoprirlo da sé. Tuttavia l'incontro con Kenny aiuterà George a guardare avanti, a non rinunciare a cercare un altro Jim. "Abbasso il futuro, che se lo tengano Kenny e i ragazzi. Che Charley si tenga il passato. George si attacca solo all'adesso. E' adesso che deve trovare un altro Jim". A meno che...


Nel film tratto dal libro, A single man, di Tom Ford, Colin Firth interpreta George, mentre Julianne Moore è Charley, ed entrambi sono convincenti nel loro ruolo. La trascrizione è abbastanza fedele al libro, di cui a volte sono direttamente citati dei passaggi.
Alcuni particolari però sono diversi, come il rendere molto più espliciti i propositi autodistruttivi del protagonista, abbandonati poi dopo l'incontro con Kenny. Il film è infatti attraversato da una lunga serie di atti preparatori di una specie di suicidio anunciato: ritirati tutti i beni in banca, salutata affettuosamente la governante, scritte tutte le lettere d'addio, caricata la pistola custodita in un cassetto.
Quella pistola tornerà nel cassetto, ma...
Puntini puntini, sia nel libro che nel film, per non togliere a nessuno il piacere della lettura e della visione.

martedì 15 giugno 2010

Un libro un film - Sherlock Holmes

Sherlock Holmes è un personaggio che non ha certo bisogno di grandi presentazioni.

Nato dalla penna di Arthur Conan Doyle nel 1887, con la pubblicazione del romanzo Uno studio in rosso, rappresenterà, per le generazioni a seguire, il prototipo dell'investigatore accompagnato dal fedele amico ed aiutante Watson. Proprio lui è tornato ad essere protagonista del grande schermo con l'ultima di una lunga serie di trasposizioni cinematografiche delle sue avventure, Sherlock Holmes, diretto da Guy Ritchie ed uscito nelle sale italiane a fine 2009.

Se avete letto qualcuna delle avventure di Sherlock Holmes, il personaggio che vedrete sul grande schermo di certo vi stupirà. Questa la descrizione 'dai ricordi del dottor John H. Watson' in Uno studio in rosso: Aveva abitudini tranquille e regolari. Di rado restava alzato oltre le dieci di sera, ed invariabilmente aveva già fatto colazione ed era uscito quando io mi alzavo, la mattina. Qualche volta passava la giornata al laboratorio chimico; altre volte, se ne stava dalla mattina alla sera in sala anatomica, e, ogni tanto, faceva lunghissime passeggiate, specialmente nei quartieri più miserabili della città”.

L'investigatore calmo e posato, elegante e colto descritto da Doyle viene reinventato da Ritchie e diventa un eroe d'azione pronto al combattimento in strada, “il più incurabile pigrone che abbia mai calzato scarpe” lo vedremo, impavido, addirittura lanciarsi nel Tamigi.

Particolare attenzione viene prestata alla resa cinematografica dei suoi procedimenti induttivi – azioni rallentate e ripartenze illustrano come la sua mente elabori strategie per uscire da situazioni scomode o come prepari l'attacco agli avversari per uscirne vincitore – ma non mancano celebrazioni del suo mitico ragionamento deduttivo. La scienza della deduzione, basata sul principio che “la vita è una grande catena la cui natura si rivela a chiunque ne osservi anche un solo anello”, permetterà di risolvere con successo i casi più intricati, ma rivelerà anche la sua fallibilità proprio nell'incontro, su pellicola, con la fidanzata di Watson.

Malgrado i molteplici tentativi di Doyle di 'uccidere' il suo personaggio, Sherlock Holmes continua a vivere quindi non solo tra le pagine dei libri, ma anche nelle numerose versioni cinematografiche.

Quale sarà il vero Sherlock Holmes? Sarà il tranquillo fumatore di pipa o il geniale lottatore di strada? Forse rileggendo ora qualcuno dei racconti vi capiterà di prestare maggiore attenzione a piccoli incisi descrittivi di questo tipo:Se invece di rimanersene lì buono e tranquillo fosse venuto avanti colpendomi con il suo gancio al mento, l'avrei riconosciuta immediatamente”, si dice di lui in Il segno dei quattro.

Quanti accenni di questo tipo ci saranno sfuggiti nella lettura e potrebbero, invece, confortare questa rivisitazione dello stereotipo di Sherlock Holmes?

Se vi convince e vi piace questa versione di eroe moderno nella interpretazione di Robert Downey Jr, accompagnato da Jude Law nei panni di Watson, non avrete che da attendere la prossima uscita di Sherlock Holmes 2, prevista per dicembre 2011, magari rileggendo qualcuna delle sue avventure su carta!

domenica 6 giugno 2010

Un libro un film - Antonia S. Byatt - Possessione


Antonia S. Byatt. Possessione. Una storia romantica, Einaudi 1994.

Dal libro nero e malconcio che Roland Michell sta consultando alla London Library spuntano inaspettatamente due lettere del poeta vittoriano Randolph Henry Ash indirizzate ad una signora. Roland, che è ricercatore a contratto e ad Ash ha dedicato la tesi di dottorato, pensa che queste lettere potrebbero appartenere ad una corrispondenza più vasta, capace forse di mettere in discussione le certezze accademiche sulla personalità del poeta e sulla sua esistenza. Impulsivamente fa scivolare le lettere nella sua cartelletta personale. Un’altra visita in biblioteca il giorno successivo e Roland è in grado di identificare la destinataria: Christabel LaMotte, poetessa epica e autrice di fiabe per bambini; per proseguire nell’indagine è perciò indispensabile allearsi con l’esperta di Christabel, la professoressa dell’università di Lincoln Maud Baily.
Inizia una caccia agli indizi letterari, alle lettere e ai diari che conduce Roland e Maud sulle tracce dei due poeti fin nello Yorkshire e in Bretagna; la trama romanzesca che a mano a mano si dipana li ossessiona e, in parte, li contagia.
Di una storia non è lecito rivelare tutto quel che succede, né come va a finire, per riguardo a chi non ha ancora letto il libro. Ma la “storia romantica” del sottotitolo non è la sola fonte di piacere e di interesse. Tra le tante citazioni ogni lettore ne riconoscerà e apprezzerà qualcuna: io ho trovato straordinari i passi sulla lettura che credo valga la pena di riportare:

“È possibile per uno scrittore creare, o almeno ricreare per il lettore, i piaceri primari del mangiare, o del bere, o dell’osservare, o del sesso….Di solito non si soffermano sul piacere altrettanto intenso della lettura…. Esistono - di uno stesso testo – letture fatte per dovere, letture che registrano e sezionano, letture che sentono un fruscio di suoni mai uditi, che contano piccoli pronomi grigi per diletto o per istruzione e per un certo tempo non odono né oro né mele. Ci sono letture personali, che cercano di afferrare significati personali, io sono piena d’amore, o di disgusto, o di paura, e vado in cerca d’amore, o disgusto, o paura. Ci sono – credetemi – letture impersonali – in cui l’occhio della mente vede le righe muoversi in avanti e l’orecchio della mente le sente cantare e cantare. Di tanto in tanto ci sono letture che fanno rizzare e tremare i peli sul collo, il nostro vello inesistente, quando ogni parola brucia e splende aspra e chiara e infinita ed esatta, come pietre di fuoco, come stelle puntiformi nel buio – letture in cui la consapevolezza che conosceremo ciò che è scritto in maniera diversa o migliore o soddisfacente, precorre qualsiasi capacità di dire ciò che sappiamo, o come lo sappiamo. In tali letture, la sensazione che il testo sia interamente nuovo, mai visto prima, è seguita, quasi immediatamente, dalla sensazione che sia sempre stato là, che noi lettori sapevamo che c’era, e abbiamo sempre saputo che era così com’era, benché ora per la prima volta abbiamo riconosciuto, diventandone pienamente consapevoli, la nostra conoscenza” (p.469-470).

Non è solo per dovere che Beatrice Nest, ricercatrice “indiscutibilmente solida eppure amorfa”, legge da venticinque anni il diario di Ellen, moglie di Randolph Ash. All’inizio, forse (ne avrebbe dovuto ricavare la pubblicazione necessaria alla sua carriera accademica), ma poi si è convinta che quella donna apparentemente simpatica e sciocca in realtà la voglia deliberatamente disorientare. Ha cominciato con il condividere “i lunghi giorni di prostrazione di Ellen in stanze dagli scuri accostati” ed è diventata infine la custode del nido familiare degli Ash. La lettura del diario non pubblicato è prerogativa esclusiva di Beatrice che “come la pecora bianca intralciante di Alice attraverso lo specchio” lo sottrae agli occhi del resto del mondo.
Nella trasposizione cinematografica del romanzo (2002, regia di Neil LaBute) molte scelte, e fra queste l’eliminazione del personaggio di Beatrice, rendono la visione del film decisamente meno attraente della lettura del libro.

sabato 15 maggio 2010

Spifferi d'autore

Da dove viene questo vento? Da un libro. Da un libro che abbiamo dimenticato aperto. I libri vanno richiusi una volta letti e risistemati sugli scaffali. Eppure quel venticello si continua a sentire. Fa il solletico alle orecchie, rinfresca la mente, spinge, spettina, consola. E cosa mai potevamo aspettarci? che si lasciasse rinchiudere?
Il vento gonfia le guance come nei disegni dei bimbi. E soffia. Respira. È l'anima volatile dell'autore che scivola fuori dalla lettura solitaria, rimbalza sui comodini vicino ai letti, nelle borse delle signore, sui cruscotti delle automobili, attraversa lo schermo e le pagine virtuali, disegna un cerchio nel gruppo di lettura collettiva, e poi ci segue fino a casa e fino al mare, domani e anche dopodomani.
Qualcosa ci unisce indissolubilmente, cari amici del gruppo di lettura, cari lettori della comunità della parola scritta, detta e interrogata. Per un po' abbiamo respirato la stessa aria, in mezzo a tanta nebbia. L'aria gelida e incosciente di Chris McCandless (Nelle terre estreme), l'aria delusa e mortifera di April e Frank (Revolutionary road), quella pia e golosa della comunità luterana di Berlevaag (Il pranzo di Babette), l’aria cupa e insostenibile del passato di Michael Berg (A voce alta), quella luttuosa di Delia (L’amore molesto), l’atmosfera estetica e sgretolata come rovine antiche di Isabel Archer (Ritratto di signora) quella ribelle di Guy Montag e degli uomini-libro (Fahrenheit 451).
Abbiamo parteggiato, giudicato, compreso, punito, perdonato, tanto che presi da autentico patos tra considerazioni socio-storiche, linguistico-stilistiche, psico-filosofiche, di tanto in tanto ci scappava un “io questo qui (il protagonista) proprio non lo sopporto!” o un “diciamo la verità lei (la protagonista) è una vera stronza”. Insomma ci siamo presi la libertà che si può prendere una zia, per il bene dei nipoti.
In definitiva abbiamo coricato l’autore/autrice sul lettino e l’abbiamo esaminato/a bene, come uno scrutatore d’anime, senza discrezione. Perché ci dice questo? Perché fa finire la storia in questo modo? Perché tiene per lui e non per lei? Quale transfert, quale trauma infantile, quale rapporto con la madre, quale nevrosi creativa?
In cerchio, come dottori in sala d’autopsia, a guardare dentro a un libro. Una lettura soggettiva e insieme oggettiva, come si sarebbe detto in un collettivo femminista degli anni 70. Senza dimenticare nemmeno un “approccio di genere”, agevolato dal fatto che il gruppo conta anche UNA presenza maschile. “È un libro più apprezzato dagli uomini o dalle donne? Se lei fosse stata un lui, o se lui fosse stata una lei come sarebbero andare le cose?”.
Qualcuno a dir la verità spingeva anche per una interpretazione astrologica, come dire: “Non dimentichiamo che l’autore è nato il 20 febbraio alle 15 e15, dunque la storia non poteva certo finire in altro modo, essendo lui del segno dei pesci con ascendente toro”.
Qualcosa si muove più in fretta dentro a un gruppo di lettura. Quell’arietta, quella frescura, quel refolo, si inala tutti insieme come in un rituale terapeutico. Quel venticello si diffonde con leggerezza e con piacere, contaminando in maniera omeopatica anche altre comunità di lettori.
E fa bene alla salute. È un antidoto alla crisi, al malgoverno e ai cattivi pensieri. In definitiva è la nostra resistenza.
Arrivederci a settembre per ricominciare da capo!

(Elena Bellei, conduttrice del Gruppo di lettura della Biblioteca Delfini)
Immagine di Balthus (1908-2001), Katia lisant